Da Giovanni Paolo II a Francesco, la via per “guarire l’informazione”

Dalla spontaneità di Wojtyla al “sermone umile” di Francesco, passando per il “silenzio e parola” di Benedetto XVI. Isabella Di Chio (Tgr Lazio): «Il pontefice è sempre un ponte tra Dio e gli uomini

La comunicazione di tre Papi, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, come modello per guarire un’informazione diffusamente malata, che «avrebbe bisogno dell’esorcista». Con una battuta il vescovo ausiliare per il Settore centro, Matteo Zuppi, ha riassunto il senso del convegno “Guarire l’informazione: l’insegnamento di tre grandi pontefici”, svoltosi nel pomeriggio di domenica 5 ottobre nella Casa di Santa Francesca Romana. «C’è un potere dell’informazione – ha proseguito il presule – di accendere le luci su questo o quel fatto, o di spegnerle. C’è un modo dell’informazione che dà voce agli impulsi peggiori. Questi tre pontefici hanno molto da dire sul senso dell’informazione». La comunicazione è innanzi tutto alla base del Vangelo e della nascita della Chiesa. Nel battesimo è implicito il mandato alla testimonianza. «La Chiesa è nata per la comunicazione – ha detto il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi -; la Chiesa c’è per dire che Gesù è vivo e ci darà la vita. Ciascuno è comunicatore anche soltanto ad un’altra persona della propria fede». Questo è lo scopo di questi convegni, come ha ricordato monsignor Antonio Interguglielmi, direttore dell’Ufficio aggregazioni laicali e confraternite e moderatore dell’incontro insieme a Clara Iatosti, giornalista di TV2000: sviluppare una «riflessione sulla religione con spirito aperto, per avvicinare anche i laici alla Chiesa».

Papa Francesco sembrerebbe il più attento alle strategie della comunicazione. «Ma si tratta davvero di strategia?» si è chiesto Lucio Brunelli, direttore del Tg di Tv2000. «Conobbi Francesco da giornalista nel 2005. C’erano tutti gli ingredienti per farne un grande personaggio. Ma a lui non importava nulla. Aveva un ufficio stampa quasi inesistente. Dava poche interviste televisive. Non aveva una strategia di immagine. Viveva così perché era così. Ha una comunicazione potente, ma non è una tecnica. Comunica se stesso e la gente ha fiuto per capirlo. Il suo segreto è che comunica quello che è, non recita una parte. Possiede l’arte della predicazione popolare. Ha la capacità, che implica esercizio e apprendimento, di predicare al popolo, con la semplicità di una metafora, come per esempio quando disse “Dio non è uno spray”. Un’arte che Sant’Agostino chiamava il “sermone umile”. Francesco è un gesuita. Ha letto e studiato moltissimo. Quella del “sermo umilis” è una scelta».

Giovanni Paolo II è stato il primo Papa ad avere a disposizione le tv satellitari e internet, come ha sottolineato monsignor Pawel Ptasznik, responsabile della sezione polacca della Segreteria di Stato del pontefice polacco, e al suo fianco per dieci anni. «Intanto era un abile comunicatore. I giornalisti lo hanno chiamato maestro del dialogo. Durante i viaggi apostolici inventò le conferenze stampa sull’aereo. Era autentico: molti spendono soldi per la creazione dell’immagine pubblica, Papa Giovanni Paolo II attirava l’interesse solo essendo se stesso. Era spontaneo: si comportava in modo naturale. Aveva la maestria della comunicazione non verbale. E soprattutto sapeva ascoltare. Ma era anzitutto preparato: la naturalezza e la spontaneità non coprivano la mancanza di preparazione. Preparava i suoi discorsi pubblici con attenzione. Aveva il dono della chiarezza dell’espressione. Quando prendeva la parola tutti comprendevano quello che voleva dire».

Il rapporto di Papa Benedetto XVI con i mezzi di comunicazione cominciò subito in salita. «All’indomani della sua elezione – ha spiegato Davide Dionisi, giornalista di Radio Vaticana – i giornali d’Europa hanno titolato in modo aggressivo. In realtà però Benedetto XVI è stato il primo a sbarcare su Twitter con l’account Pontifex. La chiarezza della sua semplicità ha saputo parlare al cuore. Con la trilogia di libri su Gesù e con le grandi interviste. All’Università di Regensburg gli contestarono una frase, ma fu frainteso e non contestualizzarono il suo testo. Il suo voleva essere un invito al dialogo tra cristiani e musulmani. Nel 2007 e 2008 infatti sono avvenuti numerosi scambi culturali tra cristiani e musulmani. Non comprendiamo il comunicatore Ratzinger se non leggiamo il messaggio alla XLVI Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, “Silenzio e parola: cammino di evangelizzazione”. Secondo Benedetto XVI oggi si fa troppa attenzione a chi parla. La comunicazione autentica invece è ritmata da parola e silenzio: il silenzio permette di fare discernimento. Infine l’annuncio delle sue dimissioni, dato non davanti alle telecamere ma durante il Concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto. Una vera rivoluzione copernicana della comunicazione».

Avvalendosi di filmati di repertorio dell’archivio del Telegiornale regionale del Lazio Isabella Di Chio, giornalista Rai, ha messo a confronto la comunicazione e la gestualità dei tre pontefici: «Li ha caratterizzati un forte senso di sollecitudine verso la loro diocesi e le parrocchie. Sono stati tre pontefici fondamentali che hanno segnato un cambiamento nella comunicazione. Il pontefice è infatti sempre un ponte tra Dio e gli uomini. Nonostante uno stile molto diverso sul piano comunicativo tutti e tre hanno avuto un rapporto con la loro diocesi improntato sull’amore e sulla conoscenza».

6 ottobre 2014