Da Gerusalemme, don Morlacchi “racconta” la guerra e lancia il suo appello per la pace

Sacerdote della diocesi di Roma, gestisce la Casa Filia Sion, a 100 metri dalla porta di Damasco. «Siamo in attesa degli eventi, cercando di scongiurare il peggio. Possiamo farlo con la preghiera, tutti. Chi può, lo fa con appelli. Umilmente, come posso, lo faccio anch’io»

de donatis a gerusalemme, febbraio 2020
Nella foto, il cardinale De Donatis a Gerusalemme nella Casa Filia Sion

Don Filippo Morlacchi è partito nel settembre 2018 per la Terra Santa, con una convenzione triennale fidei donum, per occuparsi della casa di accoglienza della diocesi di Roma a Gerusalemme. Qui gestisce la Casa Filia Sion, un appartamento delle suore Francescane Missionarie di Maria che la diocesi di Roma ha affittato per accogliere sacerdoti, seminaristi e laici della Capitale. Cinque stanze, otto posti letto, una piccola cappella, una cucina per preparare e consumare insieme i pasti. A pochi metri dalla Porta di Damasco, una delle principali porte della città vecchia di Gerusalemme. Ed è da qui che don Filippo sta vivendo questi giorni di guerra, innescata dall’attacco di Hamas contro Israele, partito dalla Striscia di Gaza sabato scorso, 7 ottobre. Da questo osservatorio privilegiato, racconta a Roma Sette la guerra, la paura e gli scontri che portano con sé. E lancia il suo appello per la pace. Di seguito, la lettera che ha inviato alla redazione:

 

Gerusalemme, venerdì 13 ottobre 2023

Sono a casa, a cento metri scarsi dalla porta di Damasco. Ieri sera mentre cenavo ho sentito un furore di sirene e massicci movimenti di militari e poliziotti. Mi sono affacciato, e ho visto decine di uomini e donne con le armi puntate verso qualunque cosa si muovesse. Ho intuito che c’era stato un attentato nei pressi. E infatti davanti alla porta di Erode – cinquecento metri da casa – un palestinese con una rudimentale arma da fuoco aveva aggredito i poliziotti all’uscita del commissariato locale, ferendone due, prima di essere a sua volta crivellato di colpi. La chiazza del suo sangue, stamattina, è ancora là per terra. Ma temo che quel sangue sia meno di una goccia, rispetto a quello che sta per essere versato, copiosamente, altrove.

In risposta al brutale, violento, osceno, inumano assalto di sabato scorso, che ha visto barbaramente trucidati oltre mille innocenti civili ebrei, Israele ha dichiarato una guerra senza limiti ad Hamas. Da alcuni giorni i bombardamenti su Gaza non sono più effettuati “con precisione chirurgica”, cioè cercando di ridurre il “danno collaterale” (la morte dei civili innocenti), ma sono finalizzati – è lo stesso esercito israeliano a dichiararlo – alla distruzione di Hamas, «costi quel che costi». Le autorità militari israeliane ieri hanno ordinato di sfollare la popolazione civile in 24 ore da tutto il nord della striscia. Si attende un attacco via terra, evidentemente con carri armati, forse protetti dai droni e dall’aviazione. Ma come può un milione e passa di persone evacuare da un territorio già devastato in una sola giornata, senza benzina e senza mezzi? E per andare dove, poi?

L’intera popolazione di Gaza è sotto assedio, e non riceve più acqua, elettricità, medicine né altri rifornimenti ormai da giorni. Si contano già più di 1.500 morti sotto le bombe: terroristi di Hamas, certo. Ma anche bambini, donne, vecchi… che probabilmente non si riconoscevano affatto nelle deliranti aspirazioni di Hamas. Eppure, sono morti. Anche la piccola comunità cristiana di Gaza, composta da un migliaio di cristiani, di cui poco più di 150 cattolici, è gravemente minacciata, anche se del tutto innocente. Da una suora amica ho saputo che alcune religiose lì presenti, che accudiscono anche alcune famiglie musulmane bisognose, hanno detto: «Non possiamo abbandonare i nostri bambini». Che coraggio. Che amore!

Oggi è venerdì. Hamas ha convocato il mondo arabo e islamico a una giornata di rabbia e manifestazioni contro Israele, e contro l’assedio e i bombardamenti di Gaza. Non sappiamo cosa potrà succedere, né qui a Gerusalemme, né in Israele o nel resto del mondo. Siamo in attesa degli eventi, cercando di scongiurare il peggio. Possiamo farlo con la preghiera, tutti; e dobbiamo farlo. Chi può e ha una voce più autorevole, lo fa mediante interventi diplomatici, colloqui, appelli, implorazioni alla ragionevolezza.

Umilmente, come posso, lo faccio anch’io.

Cari fratelli ebrei, mi rivolgo in primo luogo a voi. Ricordatevi la “legge del taglione”, scritta nella Torah, la vostra legge: «Occhio per occhio, dente per dente… bruciatura per bruciatura, ferita per ferita» (Es 21,24s). Sì, è vero, noi cristiani siamo quelli che “porgono l’altra guancia” (cfr Mt
5,39), e voi no: lo sappiamo. È stato il nostro maestro – era vostro, però! – ad averci insegnato ad andare oltre, a perdonare fino a «settanta volte sette» (cfr Mt 18,21). Ma voi, voi che non accettate l’insegnamento del perdono cristiano, rispettate almeno la legge del taglione: uno a uno, non di
più. Non ritornate alla violenza brutale di Lamec: «Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette» (Gen 4,23s). Avete diritto di difendervi, nessuno può negarlo: ma non fatelo in maniera sproporzionata ed eccessiva, sterminando decine di migliaia di innocenti per raggiungere i terroristi nemici. Ricordatevi di Abramo, vostro padre: «Abramo si avvicinò [al Signore] e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio…» (Gen 18,23-25). È la Torah, la vostra legge che lo insegna. Ascoltatela! «Ascolta, Israele!…».

E voi, musulmani, seguaci del Profeta, che pure siete nostri fratelli: perché continuate a praticare la violenza in nome di Dio? Perché molti di voi non vogliono riconoscere il sacrosanto diritto all’esistenza dello Stato di Israele? Perché invece di lottare audacemente con gli strumenti della diplomazia e della ragione per difendere il vostro diritto – altrettanto sacrosanto – a un’esistenza serena e pacifica in Palestina, vi siete accaniti brutalmente contro vittime innocenti, alimentando la spirale del terrore e dell’orrore? Possibile che l’unico modo di promuovere la vostra causa sia l’attentato, l’omicidio, la violenza cieca, e adesso anche una violenza efferata e deliberatamente rivolta a singole persone innocenti? Così anche una giusta causa viene difesa in modo sbagliato e diventa ingiusta! Perché, delle vostre Sacre Scritture, ritenete solo i versetti che inneggiano alla guerra, e non quelli che esprimono il desiderio di pace, che pure sono presenti nel Corano? E soprattutto: perché non ascoltate la voce di tanti di voi, la gente semplice del popolo che, pur soffrendo, non vuole odio e vendetta, ma solo pace e giustizia?

Questi sono i pensieri che mi agitano la mente e il cuore. È passata l’ora della preghiera alla Moschea. I tanti giornalisti che si erano assiepati nei pressi della Porta di Damasco sono andati via. Sembrano quasi delusi, perché non ci sono stati scontri violenti da documentare. Le forze dell’ordine, infatti, hanno impedito ai fedeli islamici di avvicinarsi alle mura della città vecchia e alla Spianata delle moschee, fermando a distanza quasi tutti, tranne i più anziani. Non so cosa sia stato detto nel sermone ad Al-Aqsa, il primo pronunciato dopo l’eccidio di sabato scorso. Spero non siano state parole di odio: non ne abbiamo bisogno. E come Abramo, «saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18) spero che il terrore degli abitanti di Gaza, impotenti dinanzi alle bombe e ai carrarmati, non diventi presto il flebile lamento dei superstiti, se ce ne saranno.

Signore, pietà. Già troppi fratelli ebrei hanno sperimentato l’insensata e tragica routine della morte: violenza e rumore di armi; poi grida e terrore; poi silenzio agghiacciante; poi gemiti e pianto disperato. E così pure tanti, troppi fratelli arabi, a Gaza e altrove: esplosioni, urla, silenzio e pianto. La spirale della morte è identica ovunque, e va fermata. Basta. La gente vuole solo vivere in pace.

Domine, dona nobis pacem.

13 ottobre 2023