Da Cannes arriva “Fiore”

Giovani e carcere nella pellicola di Claudio Giovannesi, film secco e doloroso, che sta dalla parte di chi prova a ribellarsi

Giovani e carcere nella pellicola di Claudio Giovannesi, in concorso nella sezione “Quinzaine des realisateurs”. Secco e doloroso, con due interpreti di eccezionale spontaneità

Il vincitore è stato Ken Loach con “I, Daniel Blake”. La Palma d’oro della 69^ edizione del Festival di Cannes (concluso domenica 22 maggio) è andata quindi a un regista che il mese prossimo compie 80 anni e ha dimostrato una vitalità non comune, affrontando a viso aperto argomenti forti che feriscono ancora la vita di questa Europa: lavoro, famiglia, ingiustizie sociali. Temi aspri e ricorrenti che ci interpellano da vicino. Come quello che è al centro di “Fiore”, film italiano che a Cannes era nella sezione “Quinzaine des realisateurs” ed è uscito mercoledì 25 maggio nelle sale.

Arrestata mentre minaccia passanti e ruba loro i cellulari, la giovane Dafne entra in carcere per rapina. Qui conosce il coetaneo Josh col quale stringe amicizia. Soli, impauriti e incerti sul da farsi, i due ragazzi lasciano che il loro sentimento maturi e poi provano a prendere la fuga… Esordiente nel 2007 con “Welcome Bucarest”, in curriculum già alcuni titoli interessanti come “La casa sulle nuvole”, 2009, “Fratelli d’Italia”, 2009, “Alì ha gli occhi azzurri”, 2012, Claudio Giovannesi fa, col film di oggi, un promettente passo avanti. La vicenda di un lui e di una lei, ragazzi alla deriva che si incontrano dietro le sbarre, diventa da subito un dramma autentico e reale, capace di far andare di pari passo rabbia e volontà di reazione, rassegnazione e riscatto.

Macchina a spalla che segue implacabilmente i protagonisti, scatto nervoso che pedina ogni movimento, l’occhio del regista non prevarica e non soffoca, lascia anzi che lo slancio giovanile di due ragazzi si esplichi in un vigore e in una carica vitalistica difficili da tenere a freno. Giovannesi non ha paura di confondersi con il documentario, con la pulizia del «vero», non c’è bisogno infatti di denunciare o di indicare colpevoli. Le parole sono negli occhi di chi guarda, anche delle sorveglianti (vedere quel gesto doloroso ma necessario della bomboniera sequestrata come oggetto «estraneo»); donne con un lavoro difficile e obbligato; spazi chiusi, aria sottratta, estremo bisogno di alternativa. La vita quotidiana, la festa della mezzanotte, il sogno di un altro mondo, infine il pranzo sul mare, l’illusione dell’aria aperta, la fuga. E poi di nuovo i due nascosti sul treno, il silenzio premonitore della colpa che non fa sconti, il futuro che riprenderà ma chissà quando e dove.

Non fa pietismi, Giovannesi, non cede a buonismi o soluzioni di circostanza. Secco, doloroso, non riconciliato, il film porta su di sé la giusta colpa e sta dalla parte di chi comunque prova a ribellarsi, a non rassegnarsi, a gridare la voglia di libertà. Reso più autentico da due interpreti di eccezionale spontaneità, il film va segnalato per l’intensità narrativa che lo sostiene e per la nitida drammaturgia che lo attraversa. Rendendosi al contempo utile anche per riflessioni e dibattiti, primo fra tutti quello sulla carcerazione e le sue conseguenze.

30 maggio 2016