Crollo in un cantiere a Firenze. La solidarietà della diocesi di Roma

A esprimerla, l’incaricato per la Pastorale sociale Pesce: «Ogni vittima sul lavoro è come una macchia di sangue che disonora il nostro Paese, il concetto stesso di democrazia»

Crollo in un cantiere questa mattina, 16 febbraio, a Firenze, in una zona della periferia, dove è in corso la costruzione di un supermercato. Il bilancio delle vittime, secondo quanto riferito dai vigili del fuoco, è di 2 morti, 3 feriti e altri 3 dispersi.  E le squadre dei vigili del fuoco continuano a lavorare per rimuovere le pesanti travi in cemento armato che hanno ceduto, così da poter continuare le ricerche dei dispersi.

Da Roma, parla di «ennesima tragedia» monsignor Francesco Pesce, incaricato dell’Ufficio per la pastorale sociale, del lavoro e della custodia del creato della diocesi di Roma, facendosi portavoce della solidarietà dell’intera comunità ecclesiale «e in particolare dei cappellani del lavoro, che porteranno all’altare del Signore il sacrificio delle vittime e lo strazio dei famigliari». Sui luoghi di lavoro, prosegue il sacerdote, «si realizza ogni giorno il progetto di Dio sull’uomo e si esprime il desiderio di comunità, di bene comune, al quale tutte le componenti del Paese sono chiamate a dare il loro contributo. Il lavoro è ben più che opera delle mani dell’uomo, perché è prima di tutto una vocazione e uno strumento di Dio affidato agli uomini, che deve essere tutelato in ogni modo e in ogni situazione», sottolinea.

Proprio per questo, «impegnarsi tutti per la sicurezza significa salvare vite umane, tutelare le famiglie, garantire la civiltà della nazione. Ogni vittima sul lavoro è come una macchia di sangue che disonora il nostro Paese, le nostre città, il concetto stesso di democrazia. Si parla molto e giustamente di lavoro – sono ancora le parole di Pesce -, ma a volte si dimenticano i lavoratori, che non sono un ingranaggio di un sistema ma persone, volti, storie, padri e madri, ragazzi, spesso immigrati già vittime della loro storia».

L’esortazione allora è ad «agire perché il lavoro possa tornare ad essere uno strumento di liberazione e di riconciliazione, liberazione da ogni ingiustizia, riconciliazione tra profitto e welfare, tra orario di lavoro e festa». Il problema di fondo, insomma, è «la concezione del lavoro, il ruolo della persona, la crescita morale e spirituale della società. Questa – è l’analisi di Pesce – deve essere la vera tribolazione delle nostre coscienze: vivere una diversità etica e noi crediamo anche evangelica dentro la città, nelle istituzioni, nella scuola, nelle strade, nelle aziende private come anche negli spazi pubblici, non vendendosi alla sapienza costituita. Se non sentiamo dentro questa tribolazione – conclude – è bene interrogarsi sul nostro senso di cittadinanza, sul nostro servizio nelle istituzioni, sulla nostra fede».

16 febbraio 2024