Correzione e Misericordia

L’azione educativa che passa attraverso la correzione è amore che costruisce, nel bene e nel giusto, quell’umanità che ha per destino l’eternità

L’azione educativa che passa attraverso la correzione è amore che costruisce, nel bene e nel giusto, quell’umanità che ha per destino l’eternità

Una parte molto importante della misericordia, di quell’amore fedele e viscerale di Dio per noi, è quella dell’amore che corregge. Dio stesso, nel riconoscere i suoi figli, si prende l’onere della correzione (Pv 13,24 e Pv 3,11-12 e Eb 12,5-9), correzione che, se necessaria, ci indica un male compiuto che chiede di essere riconosciuto ed emendato per vivere di nuovo nel bene e nella figliolanza divina. La sua correzione è talmente importante che se questa è assente c’è da chiedersi seriamente se Dio Padre ci riconosce come figli! Infatti, solo chi è riconosciuto come figlio viene “corretto”, chi non è riconosciuto figlio non ha bisogno della correzione del Padre, è fuori dalla sua famiglia, è fuori dalla sua eredità.

L’azione educativa che passa attraverso la correzione è amore che costruisce, nel bene e nel giusto, quell’umanità che ha per destino l’eternità, la riesurrezione. Correggere è, per Dio Padre, una vera e propria azione creativa, con la quale si anticipa e completa quella creazione nuova nella quale amore e verità si incontrano, giustizia e pace si baciano (sal 85,11). Accettare la correzione è accettare l’opera creativa di Dio padre che, in un certo senso, vuole portare a compimento, nella bontà e senza brutture, la bellezza della sua creazione, come essa è realmente nel suo progetto eterno (Eb 12,11-13). Accettare di essere corretti dal Padre significa correggere ciò che è incompatibile con il buono e il bello dell’opera divina. Correggere è, prima di tutto, distruggere la bruttura del peccato, la prepotenza della superbia, il caos anarchico dell’orgoglio, tutti quegli elementi che, nella scelta libera umana, hanno sfigurato il progetto di Dio, fermandone il compimento, offuscandone la bontà e la bellezza.

Come Dio affida la custodia responsabile del creato all’uomo e lo fa partecipare alla sua azione creativa, affida all’uomo anche la responsabilità e l’onere di una correzione commisurata alle sue possibilità e responsabilità. L’uomo però, a differenza del Creatore, per correggere deve avere un codice, un canone con cui muoversi e giudicare quando si deve o non si deve correggere, la misura in cui farlo e il fine a cui far tendere ogni iniziativa. Ovviamente, parlando di misericordia, l’unico riferimento con cui possiamo correggere sempre è l’amore! Non un amore disincantato e disincarnato ma un amore concreto che vuole, realmente, il bene dell’altro, vuole il bene come lo vuole Dio Padre per me: in poche parole bisogna avere il cuore dell’uomo giusto – figura portante di queste meditazioni sulla Misericordia -, che come abbiamo già visto sa amare, “fare giustizia”, secondo il cuore di Dio perché cosciente dell’amore con cui è stato ed è amato da Dio e, nello stesso amore, vuole amare i fratelli.

Quindi, se Dio corregge chi ama e lo fa per salvarlo e concedergli vita, l’uomo giusto che corregge è uno che ha fatto questa esperienza, nei fatti della vita e nel rapporto con gli altri. L’uomo giusto è stato corretto, magari anche dolorosamente, ma riconosce il bene che da quella correzione è scaturito per la sua vita, l’amore che ha promosso quest’azione e, animato dallo stesso amore e volontà di bene per gli altri, vuole amare, in questo, tutti. Se la famiglia è il luogo dove Dio ci fa fare la prima esperienza dell’amore, immagine del suo amore, la famiglia è ed è sempre stata anche il luogo dove la correzione dell’altro assume un valore particolarmente importante, come ogni altro istituto educativo all’amore (Chiesa, Ordine, Congregazione, gruppo etc.), nonostante oggi dobbiamo rilevare una certa mancanza di volontà alla correzione, quasi un pudore immotivato che rimanda – più che ad una remora a far soffrire l’altro – a un’assenza di amore per l’altro, figli compresi.

Voglio sottolineare in maniera forte quest’ultimo concetto: se non correggiamo, con amore e rispetto, specialmente se siamo anche incaricati di farlo (genitori, insegnanti, sacerdoti, catechisti, educatori etc.), non amiamo! Se non correggiamo vuol dire che delle persone a noi affidate non importa nulla, non vogliamo il loro bene, e forse questo accade perché o non abbiamo vissuto quest’amore su di noi o preferiamo credere a tutt’altro, magari a qualche teoria educativa “rinunciataria” nella quale il processo di autoformazione umana è più importante della formazione “comprensiva” e referenziale.

Voglio inoltre sottolineare con un tratto altrettanto forte che accettare la correzione, specialmente quando questa è segno che qualcuno ci ama, è un atto di fiducia e di amore che, insieme a chi ci corregge, costruisce sempre nell’amore l’umanità che è degna della figliolanza divina. Rifiutare una correzione, non ammetterne il bisogno e disconoscere gli errori vuol dire non amare, primo perché non si ama se stessi e poi perché, per amore del proprio orgoglio, non si ama chi, nell’amore, ci corregge e ci offre nuove strade per crescere ed amare sempre di più.

Può sorgere spontanea una domanda sullo stile, su come la misericordia che corregge può incarnarsi nelle nostre vite, nelle nostre vicende. Ad offrirci uno spunto può venire in aiuto il brano evangelico dell’adultera (Gv 8,1-11): in questo brano, piuttosto articolato, abbiamo il confronto tra due correzioni, una che cerca di eliminare il male senza porsi troppe domande sulla persona e sull’amore, la correzione praticata dagli scribi e dai farisei, e una correzione praticata da Gesù che cerca, nell’amore, la via migliore per dare la vita, non solo per l’adultera ma anche per quei scribi e farisei che, nella superbia del legalismo, avevano dimenticato il loro peccato e la pietà verso il prossimo. Gesù non prende le parti dell’adultera solo per partito preso, ma riesce a mettere a nudo il comune bisogno di perdono che hanno tutti gli uomini richiamandoli alla comune condizione di peccato, ricorda a tutti con una semplice ma veritiera affermazione (“chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra!”) non tanto il peccato in se ma il bisogno dell’amore che corregge e non condanna di cui tutti gli uomini hanno necessità e, nel contempo, corregge l’adultera nel suo peccato che l’aveva portata sin lì.

Interessante è notare la docilità con cui sia i farisei e gli scribi si riconoscono bisognosi di correzione perché peccatori (“se ne andarono uno per uno, cominciando dagli anziani fino agli ultimi.”) come anche l’adultera ammette indirettamente il suo peccato (“… Nessuno Ti ha condannata?”. Ed essa rispose: Nessuno, Signore”). Quindi nessuno nega il suo peccato di fronte a Gesù e le sue parole, ma solo all’adultera, che rimane ai piedi di Gesù, viene concesso il perdono e la strada dell’amore che la restituisce alla vita (“Neanche io ti condanno; va e d’ora in poi non peccare più”). La correzione di Gesù – ricordare a tutti il proprio peccato – è capita, sino in fondo, da chi si lascia amare, perdonare, come l’adultera, rimane in sospeso per chi non si lascia amare sino in fondo, e non riesce a rimanere per quel tanto che serve per sentirsi dire “andate e non peccate più anche voi!”.

Una delle grazie più belle ed efficienti da chiedere, per la nostra vita spirituale, è quella di essere corretti dal Signore in tutto ciò che abbiamo bisogno, specialmente dagli errori e dai peccati che non riusciamo a vedere come quelli di cui non riusciamo a fare a meno, correzione che sappiamo ci manterrà nella figliolanza divina perché sempre frutto del Suo amore misericordioso. È una grazia che può mettere paura o frustrazione, che può realizzarsi attraverso persone (superiori, amici, confratelli, coniuge, genitori …) o istituzioni (la Chiesa, lo Stato, etc.) o anche situazioni da vivere (povertà, malattia, prove …), ma ciò di cui non dobbiamo mai dubitare è l’amore con cui il Padre ci curerà anche nella correzione, sicuri che Egli mai vorrà il nostro male e sempre porterà tutto al bene. Cosa importante questa da capire poiché troppo spesso, nelle cose della vita, ci facciamo la domanda sbagliata tipo “che male ho fatto …”, invece di sentirci figli e domandarci: “Dove mi sta conducendo il Padre?”.

Più di un decennio fa, la madre superiora di un convento di clausura, dove si stavano svolgendo degli esercizi spirituali in vista dell’ordinazione sacerdotale di alcuni seminaristi, parlando a loro, in conclusione degli esercizi, diede molto semplicemente un consiglio: “Vi chiedo di domandare per voi una grazia molto difficile ma la più bella per il vostro futuro sacerdozio: Chiedete al Padre di farvi morire piuttosto che lasciare, un giorno, il sacerdozio. Non perché essere sacerdoti è la cosa più importante, né perché altrimenti vi dannereste, ma perché se sarete capaci di fare questa preghiera col cuore, sarete sempre disposti ad essere corretti da Colui che vi ama, sarete sempre coscienti di essere figli degni del Suo amore, sarete sempre sacerdoti pronti ad amare come Dio ama, nulla vi sarà impossibile!”.

15 marzo 2016