Coronavirus, primo decesso confermato in Siria

L’allarme di Medici senza frontiere: «Il sistema sanitario è già al collasso. Praticamente impossibile rispondere in modo adeguato all’epidemia di Covid-19»

Confermato, nella Siria nord-orientale, il primo caso di decesso per Covid-19. La notizia «aumenta le nostre preoccupazioni per la preparazione e la capacità del Paese di rispondere a un’epidemia di questo genere, con un sistema sanitario ormai al collasso dopo 9 anni di conflitto». È l’allarme che arriva da Medici senza frontiere, che rende noto anche che, nel caso specifico, i risultati del test sono arrivati in ritardo di due settimane, quando il paziente era ormai morto. Testare i casi sospetti di Covid-19 e ricevere i risultati tempestivamente, in effetti, è molto complicato visto che al momento l’unica capacità diagnostica disponibile nell’area è il Laboratorio centrale di Damasco, sottolineano dall’organizzazione.

«Abbiamo forniture supplementari estremamente necessarie e staff medico pronto a partire – dice Will Turner, responsabile dell’emergenza per Msf – ma non abbiamo le garanzie che possano entrare nel Kurdistan iracheno e proseguire verso la Siria». L’organizzazione chiede quindi con urgenza alle autorità di Kurdistan iracheno e Siria nord-orientale di facilitare l’accesso tempestivo per le organizzazioni umanitarie, con la possibilità di circolazione in entrambi i Paesi di cargo umanitari e staff internazionale. «Siamo molto preoccupati per la mancanza di test diagnostici – aggiunge Crystal van Leeuwen, responsabile medico Msf per l’emergenza in Siria -, di attività di tracciamento dei contatti, per l’inadeguata capacità degli ospedali di gestire i pazienti e per la limitata disponibilità di dispositivi di protezione individuale. Al momento – conclude – la risposta in Siria nord-orientale non è lontanamente sufficiente. È fondamentale un aumento significativo di assistenza da parte di attori sanitari, organizzazioni umanitarie e donatori».

La preoccupazione dell’organizzazione umanitaria internazionale è anzitutto per le condizioni nei campi rifugiati in tutta l’area, dove le persone vivono in spazi sovraffollati e congestionati, con scarso o nessun accesso alle cure mediche o all’acqua potabile. Come accade nel campo di Al Hol , dove Msf ha iniziato a fornire cure medico-umanitarie a gennaio 2019: qui vivono circa 65mila persone, di cui nessuna è autorizzata a lasciare l’area. Il 94% di loro sono donne e bambini.

23 aprile 2020