Coronavirus, in Guatemala morti raddoppiati in 15 giorni

Il presidente della Conferenza episcopale de Villa y Vásquez all’Agenzia Sir: «Pandemia in piena escalation. Tutto è rallentato da mafia e corruzione»

Quasi 40mila contagi, per un totale di circa 1.500 morti. È il bilancio della pandemia di coronavirus in Guatemala, dove però le vittime «sono raddoppiate in soli 15 giorni». A dichiararlo all’Agenzia Sir è il presidente della Conferenza episcopale guatemalteca (Ceg) Gonzalo de Villa y Vásquez, arcivescovo eletto di Città del Guatemala e amministratore apostolico di Sololá-Chimaltenango, a commento del comunicato diffuso venerdì scorso, 17 luglio, dai vescovi del Guatemala. «Siamo in piena escalation – le parole del presule -. Il picco dei contagi è previsto per ottobre o novembre. Le condizioni del sistema sanitario sono precarie e molti sono gli esclusi da tale sistema. Abbiamo parlato con il presidente della Repubblica, non mancano i buoni propositi, ma tutto è rallentato dalla corruzione e dalle mafie, penso per esempio alla necessità di procurare respiratori. Così, si procede alla velocità di una tartaruga»

Nella nota, riferisce il Sir, i vescovi affermano che la pandemia «ha messo in evidenza tutta la serie di precarietà e mancanze che il nostro Paese soffre». Secondo la Ceg, «contemplare questa realtà potrebbe scoraggiarci, ma allo stesso tempo ci offre l’opportunità di vivere un’autentica e genuina solidarietà». La Capitale Città del Guatemala, informa ancora de Villa y Vásquez, «è oggi senza difese, ci sono molti casi nella Capitale e nel suo hinterland, fino a Escuintla, così come nelle zone di frontiera. Molte persone, ancora oggi, si muovono senza precauzioni, anche per barriere culturali e linguistiche. Il 70% della popolazione ha un lavoro precario e informale, perciò esce di casa e non si riesce a organizzare una quarantena seria». Da parte delle parrocchie «ci sono vari progetti, raccolte di alimenti, dirette soprattutto a chi è rimasto senza un salario, reti di solidarietà. Va anche detto, tuttavia, che ormai le parrocchie sono chiuse da quattro mesi, le Messe sono trasmesse attraverso i vari mezzi di comunicazione e le stesse parrocchie sono senza risorse, soprattutto nelle zone urbane, dove è meno immediato il rapporto con i fedeli, rispetto alle zone rurali».

Nella nota della Conferenza episcopale spazio anche al problema del continuo rinvio dell’elezione dei giudici della Corte suprema di giustizia. Una situazione che, secondo l’episcopato, compromette l’equilibrio istituzionale e il principio della divisione dei poteri. «A volte la Corte suprema in passato, nel difendere la Costituzione, ha preso decisioni coraggiose – conclude de Villa y Vásquez -; è importante concretizzare questa elezione, bloccata dalle mafie e da personaggi corrotti».

20 luglio 2020