Coronavirus e varianti: l’aumento dei contagi, un «pericolo concreto»

Parla Paolo Visca, microbiologo: «Gli scienziati hanno monitorato costantemente l’evoluzione del virus». il consiglio: usare i dispositivi di protezione individuale. La protezione offerta dai vaccini. «Nel Lazio si sta lavorando bene. Il problema: la disponibilità delle dosi»

Inglese, brasiliana e sudafricana. Nelle ultime settimane a tenere banco è il quadro epidemiologico, con particolare riguardo alla presenza delle varianti di Covid-19. Per i non addetti ai lavori rappresentano una novità, tanto che l’argomento, stando alle statistiche di Google Trends, ha riscontrato una impennata nelle ricerche, specie dai residenti in Umbria, la prima regione italiana che si sarebbe “ammalata” di varianti inglese e brasiliana. In realtà le varianti sono implicite nel percorso evolutivo di un virus e sono molte.

Paolo Visca, ordinario di microbiologia al dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre e presidente di Simgbm (Società italiana di microbiologia generale e biotecnologie microbiche) rimarca che «gli scienziati erano a conoscenza della possibilità che potessero emergere varianti di Sars-CoV2 e hanno monitorato costantemente l’evoluzione del virus per capire se, e in quale misura, questi cambiamenti potessero influenzare la capacità del virus di trasmettersi tra individui e alterare le caratteristiche di patogenicità del virus che, in ultimo, si riflettono nella gravità della malattia». La prima a essere rilevata è stata la variante inglese, che «si diffonde più facilmente e velocemente», con conseguente «aumento complessivo dei casi, inclusi i gravi».

Nei laboratori il lavoro procede spedito e gli studi epidemiologici «suggeriscono che queste varianti sarebbero dotate di una maggiore contagiosità ma non è noto se siano effettivamente più patogene – spiega Visca -. È tuttavia certo che l’aumento del numero dei contagi, per effetto di una aumentata trasmissibilità, è un pericolo concreto». Il consiglio resta sempre quello di utilizzare i dispositivi di protezione individuale, i quali, tra l’altro, insieme «a un’importante campagna di vaccinazione anti-influenzale, hanno anche drasticamente ridotto l’incidenza dell’influenza stagionale».

La domanda che ci si pone oggi è se i vaccini attualmente in uso siano efficaci contro le varianti. Per il docente «sembrano proteggere anche dalle principali varianti ed è quindi proprio sulla vaccinazione che oggi si gioca la battaglia contro il Sars-CoV2». Per questo è fondamentale vaccinare la popolazione quanto prima, «per interrompere la catena di trasmissione e ridurre il rischio che emergano nuove varianti in grado di eludere la protezione vaccinale. La possibilità che in futuro si debba ricorrere a campagne di vaccinazione mirate alle varianti è plausibile, se si considera la capacità di Sars-CoV2 di mutare. Inoltre, è auspicabile, oltre che probabile, che possano essere scoperti farmaci in grado di curare dall’infezione virale».

In qualità di docente universitario, Visca è stato vaccinato e sottolinea che né lui né altre persone che conosce, tra le quali ultranovantenni, «hanno avuto reazioni avverse dopo la somministrazione della prima o della seconda dose. È importante capire – aggiunge – che tutti i vaccini contro il Covid-19 attualmente somministrati in Italia hanno superato il rigoroso vaglio di Ema e Aifa e sono in primis sicuri e poi molto efficaci». Fiducioso che per l’estate «si riuscirà a vaccinare l’80% della popolazione italiana», Visca afferma che «nel Lazio si sta lavorando molto bene, sono stati allestiti numerosi siti di somministrazione del vaccino ben organizzati. Al momento il problema non è rappresentato dai siti dove effettuare la vaccinazione ma dalla disponibilità delle dosi di vaccino».

Sono ancora tante le incognite che ruotano intorno al Covid-19. Tra queste gli scienziati sono al lavoro per comprendere perché virus molto simili al Covid-19, come la Sars nel 2002 e la Mers nel 2012, si siano auto estinti mentre questo ha generato una pandemia. «Non si hanno ancora risposte univoche – conclude l’esperto -. I coronavirus che causano Sars, Mers e Covid-19 sono tra loro molto simili ma le malattie da loro causate presentano alcune differenze. Ad esempio, Sars e Mers hanno tassi di mortalità molto superiori a quelli di Covid-19; è quindi plausibile che le manifestazioni cliniche meno gravi di Covid-19 e i numerosi infetti asintomatici possano avere favorito la diffusione dell’infezione in comunità. Inoltre, il numero di riproduzione di base, l’indice R0, è superiore per il Sars-Cov2 rispetto ai coronavirus Sars e Mers, a indicare una maggiore contagiosità di Covid-19. Mentre è auspicabile che la pandemia da Sars-CoV 2 si estingua quanto prima, come avvenuto per Sars e Mers, è certo che essa rimarrà oggetto di studio e dibattito scientifico per molti anni a venire», conclude.

11 marzo 2021