Coronavirus e carcere, stabile il dato sui positivi

Il grazie del Garante dei detenuti Stefano Anastasia a operatori sanitari e penitenziari. L’udienza del Papa e le parole di don Grimaldi, ispettore dei cappellani

Dal Garante dei detenuti Stefano Anastasìa, parole di gratitudine per gli operatori sanitari e penitenziari, «per la cura e l’attenzione con cui hanno gestito la fase più aggressiva del virus in carcere. Da tre settimane – riferisce – il numero dei positivi nelle carceri della regione è sostanzialmente stabile e attualmente non ci sono focolai incontrollati in atto. Ciò nonostante, è bene tenere alta la guardia ma senza panico e senza misure ingiustificate di restrizione delle attività e dei colloqui».

Al 1° dicembre risultano 40 persone positive e un solo ospedalizzato. La maggior parte dei casi positivi è a Rebibbia femminile, dove comunque il numero di positive è stabile da settimane, a conferma del fatto che il cluster è stato confinato. Altri carceri interessati dal contagio tra i detenuti, seppure in forma minore, sono attualmente gli altri istituti di Rebibbia, Regina Coeli e Cassino e Rieti. «Modesti», nell’analisi di Anastasìa, gli effetti del decreto Ristori: calano di appena 29 unità le presenze negli istituti di pena del Lazio rispetto al mese di ottobre, da 5.839 a 5.810. «Entrato in vigore il 28 ottobre – ricorda il Garante -, il decreto-legge 137/2020 prevede licenze premio straordinarie per i semiliberi, durata straordinaria dei permessi per i lavoranti all’esterno e il rinnovo di misure per incentivare la detenzione domiciliare dei detenuti a fine pena ma si tratta di una variazione davvero poco significativa e del tutto inadeguata rispetto alla situazione».

A fine novembre il tasso di affollamento complessivo negli istituti di pena del Lazio calcolato sulla base della capienza regolamentare dichiarata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sarebbe del 113 per cento mentre in tutta Italia, dove, peraltro, si è registrato un consistente aumento del numero di detenuti nel mese di novembre, è del 109 per cento. Va però considerato che rispetto ai dati delle capienze “regolamentari”, in parecchi istituti di pena della nostra regione i posti effettivamente disponibili sono più ridotti a causa dello stato di degrado di alcuni reparti, di lavori di ristrutturazione e di adeguamento degli edifici in corso e di altre misure di sicurezza. Conseguentemente, se si analizza la situazione dei singoli istituti sulla base delle valutazioni delle schede di trasparenza disponibili sul sito del ministero della Giustizia, il tasso di affollamento negli istituti di pena del Lazio sale al 128 per cento e nella metà delle carceri della regione risulta superiore al 130 per cento.

«Come più volte ribadito – è il commento di Anastasìa –  riteniamo quanto mai necessario che vengano adottate tutte le possibili misure per consentire a chi ne ha i requisiti di scontare la pena detentiva al di fuori delle mura carcerarie, in considerazione anche sia del numero significativo di persone che devono scontare pene inferiori ai due anni sia della notevole percentuale di detenuti in attesa di primo giudizio, vicina al 20 per cento del totale dei detenuti presenti in regione». Percentuale che «risulta da due anni costantemente superiore a quella che si riscontra a livello nazionale».

Al mondo delle carceri anche Papa Francesco ha dedicato un passaggio nell’udienza generale di mercoledì 2 dicembre. Parole riprese dall’ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane don Raffaele Grimaldi, che le ha lette come «un chiaro appello rivolto anche a noi che siamo fuori dalle mura delle carceri, a volte più prigionieri degli altri, affinché siamo chiamati a non giudicare, ma a vedere, anche nell’uomo che ha commesso gravi reati, l’immagine di Cristo». Ringraziando il Santo Padre a nome di cappellani, operatori e agenti della Penitenziaria, don Grimaldi evidenzia che «Dio non solo è paziente con coloro che sono dietro le sbarre ma lo è anche con noi. Perciò, siamo chiamati a non dimenticare che siamo tutti peccatori e non va puntato il dito per giudicare l’altro».

Sul reinserimento sociale, prosegue l’ispettore generale, «parlando di comunità di recupero, il Papa ci ha indicato la strada per donare un orizzonte di speranza a coloro che desiderano ritornare nella comunità civile. Comunità, case famiglia, dove i detenuti possano ritrovare l’affetto di persone, di parenti e amici che li accolgono e li indirizzano verso un vero cammino di rinascita». Di qui l’invito a «tendere una mano, dare fiducia a chi ha sbagliato, essere comunità accoglienti, avere il coraggio di difendere chi è caduto nella trappola del male, per non vedere nella persona che è in carcere, solo il male, solo gli errori commessi».

Don Grimaldi aggiunge: «La nostra società perbene deve avere un cuore misericordioso, come lo è la madre del carcerato che visita e ama il proprio figlio che ha sbagliato e si è macchiato di gravi reati. Gli uomini e le donne che hanno commesso una colpa, a volte sepolti dall’indifferenza degli altri, hanno bisogno di essere incoraggiati per rinascere». Ricordando le storie di rinascita di cui sono testimoni i cappellani, il sacerdote conclude: «Per le persone rinchiuse dietro le sbarre per i loro errori commessi, abbandonate al loro destino, siamo chiamati a essere autentici medici che sappiano curare le ferite e che offrano occasioni di accoglienza e di recupero».

4 dicembre 2020