Coraggio: il secondo nome dell’amore

Nelle parole di Francesco l’invito ai consacrati a riscoprirlo come “agire con il cuore”, storicamente possibile, benefico e portatore di vita, chiave d’accesso alla vita e alla vita consacrata

Il santo Padre, non potendo prendere parte alla Veglia di preghiera inaugurale dell’Anno della Vita Consacrata, ha rivolto ai religiosi un breve messaggio, consegnando loro, come del resto fa di consueto in diverse occasioni, tre parole programmatiche: gioia, coraggio, comunione.

Mi soffermo volentieri sulla seconda, forse la più inattesa, come fosse una chiave d’accesso alla vita e alla Vita Consacrata in particolare. Capita spesso infatti di sentir definire i consacrati e le consacrate come degli uomini e delle donne coraggiosi, soprattutto a causa delle rinunce che vivono o dei luoghi pericolosi in cui si trovano a svolgere la loro missione, ovvero per la scelta radicale della vita monastica che custodisce un’esistenza intera in un chiostro rinunciando a molte delle tecnologiche vie della modernità e delle relazioni.

Tuttavia, oggi sembra ci voglia coraggio non solo per questo e non solo per chi vive nella Vita Consacrata, ma ne serve molto per vivere del poco, dell’essenziale, condividendo la condizione dei molti nel mondo che hanno ben poco di cui vivere. Per essere fedeli, per stare nella castità ci vuole coraggio, per tutti, un gran coraggio: combattere contro le molteplici tentazioni di fuga che travestono di opportunità il disordine affettivo e sessuale che l’epoca contemporanea offre ad ogni età sembra essere un’impresa da eroi di una remota epoca storica. Rinunciare al potere, fosse anche a quella minuscola parte di potere possibile nella vita di tutti: la prepotenza per il posto in un parcheggio, nella fila alla posta, al banco del supermercato, è un atto che può richiedere grandi dosi di coraggio, il coraggio di lasciarsi umiliare, di perdere e subire un’ingiustizia.

Questo è il coraggio di cui tutti veniamo rivestiti nel giorno del nostro battesimo, è il coraggio di essere cristiani e non riguarda – dunque – un nostro sforzo, un traguardo da raggiungere, ma semplicemente un dono, che abbiamo ricevuto e che, tra gli altri, ci cambia i connotati e ci rende capaci di amare come Gesù, ci rende simili a lui, ci fa vivere del suo stesso coraggio.

Sì, perché il coraggio non è la virtù del leone o l’audacia dei supereroi. Facile essere coraggiosi quando si è il re della foresta o se ci si ritrova dotati di superpoteri impossibili ad ogni altro essere umano. Ma a guardar bene, la parola coraggio viene dal latino, da un latino pacato e verace e – lasciatemelo dire – molto romantico: letteralmente traduce cor-agere e non riguarda i muscoli o la forza, ma il cuore: agire con il cuore. Ed è proprio questo che ha fatto Gesù, fino alla fine (Gv 13,1): ci ha amato, fino al punto più alto dell’amore, fino al suo culmine, e dalla croce ha effuso il suo Spirito, lo ha rovesciato nei nostri cuori perché anche il nostro cuore (Gal 5,5) potesse agire come il suo, perché anche noi fossimo resi capaci di amare come lui ci ha amati (Gv 13,34). Agire con il cuore di «chi si sente amato dal Signore – ci insegna ancora Papa Francesco – e sa di riporre in lui la sua fiducia». È il vigore di chi si sente accompagnato per le strade del mondo con la forza dello Spirito «a mostrare la potenza innovatrice del Vangelo», capace di dare quella risposta vera a tutti gli interrogativi che abitano il cuore dell’uomo, alla sua sete di vita. Amare, agire con il cuore, accendere la passione per Dio e per i fratelli è l’unica cosa che ci è richiesta ed è quanto ci viene donato, è spianare la via all’amore di Dio capace, sempre, di operare meraviglie.

Compito eminente di chi ha ricevuto la consacrazione e dedica tutta la sua vita alla costruzione del Regno dei Cieli sarà allora quello di vivere di questo coraggio battesimale e di insegnare agli uomini e alle donne di questo tempo ad essere coraggiosi, a vivere dello stesso coraggio, dello stesso agire del cuore, con cui ha vissuto Gesù. Un agire storicamente possibile, benefico e portatore di vita.

22 gennaio 2015