Contro la tratta, la luce della speranza

A San Gabriele dell'Addolorata la veglia alla vigilia della Giornata mondiale, l'8 febbraio, memoria liturgica di santa Bakhita. La testimonianza di Joy: «Mi avevano rubato tutto, perfino il nome. Solo ora so di non essere più una schiava, grazie a chi non si è voltato dall'altra parte»

«Ogni anno migliaia di donne, uomini e bambini sono vittime dello sfruttamento sessuale, lavorativo, del traffico di organi e sembra che ci siamo abituati, tanto da considerarla una cosa normale. Questo è crudele, è criminale!». Con queste dure parole di condanna di Papa Francesco, risalenti al 2017, si è aperta, ieri sera, nella parrocchia di San Gabriele dell’Addolorata, nel quartiere Don Bosco, la veglia di preghiera contro la tratta. Un momento di riflessione, alla vigilia dell’VIII Giornata mondiale contro la tratta e contro tutte le forme di schiavitù e sfruttamento, che si celebra oggi, 8 febbraio, memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita, la piccola schiava sudanese che, alla fine dell’800, fu prima liberata e poi portata in Italia, dove divenne cristiana e religiosa canossiana. «Un insegnamento indelebile, il suo – ha ricordato il parroco don Antonio Lauri -, che ci aiuta a superare l’indifferenza nei confronti dello sfruttamento di migliaia se non milioni di persone».

Molti i segni e i simboli portati all’attenzione dei fedeli durante la veglia. Innanzitutto l’immagine di Giuseppina Bakhita, proclamata santa da Giovanni Paolo II nell’Anno Santo del 2000, collocata davanti all’altare. Poi il segno delle mani. «Non possiamo avvicinarci per la pandemia ma i nostri cuori possono toccarsi», ha spiegato il parroco, invitando i presenti a ripetere ad alta voce una preghiera per il prossimo utilizzando le espressioni: «Mi preoccupo di te, prendi la mia mano, prego per te, ho cura di te». Il tema di quest’anno, infatti, è “La forza della cura”, con un focus particolare sulla tutela delle donne dal punto di vista economico.

Proprio una donna vittima della schiavitù, la nigeriana Joy Ezekiel, ha portato la sua testimonianza, così come ha fatto anche con il libro “Io sono Joy”, a opera di Mariapia Bonanate. «Mi avevano rubato tutto: la dignità, il corpo, l’anima, la libertà, perfino il nome – ha raccontato – ed ero una delle tante ragazze gettate nel baratro della violenza». Con la voce rotta dalle lacrime, Joy ha però ricordato come ora può ritornare a provare quel sentimento che è il suo stesso nome. Una gioia che comunque fa ancora i conti con i fantasmi del passato e i ricordi drammatici di quanto vissuto, tanto da non permetterle di proseguire la lettura per le troppe lacrime. Lacrime che sono un monito contro l’indifferenza. «Soltanto ora – ha proseguito una parrocchiana leggendo l’intervento al suo posto -, dopo tantissimi anni, dormo di serena e mi sveglio tranquilla, sapendo non essere più una schiava, il tutto grazie a chi non si è voltato dall’altra parte e non ha permesso che il mio corpo venisse ancora sfruttato e venduto».

Ancora, «per la dignità calpestata di ogni donna», ha spiegato sempre don Lauri, è stata accesa una luce verde come terzo segno della veglia. «Una luce con il colore della speranza, ma soprattutto per squarciare il buio dell’indifferenza». Infine, il quarto e ultimo segno della serata: il mandato. Ovvero l’invito ai fedeli a portare nella vita la preghiera vissuta nella veglia e accendere sui propri balconi questa sera, 8 febbraio, alle 21, una luce contro il buio della violenza e della schiavitù.

8 febbraio 2022