Contro don Abbondio, la conversione secondo Manzoni

A San Giovanni in Laterano la serata dedicata ai Promessi Sposi. De Donatis: «È possibile avere Grazia, cambiare il cuore, cambiare vita. Ma è possibile anche rifiutare il cambiamento»

Letteratura, catechesi, musica. Sono gli ingredienti della serata di riflessione dal titolo “Contro Don Abbondio. La conversione nei Promessi Sposi”, proposta dall’Ufficio catechistico diocesano, tenutasi ieri, 4 aprile, nella basilica di San Giovanni in Laterano. Un percorso sul tema della conversione, in cui la guida del direttore dell’Ufficio catechistico diocesano don Andrea Cavallini e le letture dell’attore e regista Giovanni Scifoni, accompagnati dai musicisti Desirée Infascelli e Daniele Vaccari, hanno raccontato le vicende di quei personaggi dell’opera manzoniana che hanno accolto o rifiutato l’invito a cambiare vita.

«La chiamata alla conversione è l’inizio della buona notizia di Gesù – ha sottolineato il cardinale Angelo De Donatis nella sua introduzione -. È possibile avere Grazia, cambiare il cuore, cambiare vita. Ma è possibile anche non convertirsi, rifiutare il cambiamento». Per questo, accanto alle storie di Lodovico che diviene fra Cristoforo, dell’Innominato che incontra il cardinale Borromeo, di Renzo che perdona don Rodrigo nel Lazzaretto, c’è anche l’immutabilità di Don Abbondio. I Promessi sposi «è una storia davvero bella – sostiene don Cavallini, riprendendo il giudizio dello stesso Manzoni nell’introduzione dell’opera -. C’è il bene e c’è il male, il diabolico e l’angelico»: il male “banale”, piccolo, di don Abbondio, ma anche l’ingiustizia, il capriccio di don Rodrigo, il male sociale dei bravi, della peste, della guerra. E, accanto, il bene: «L’amore dei due ragazzi, Renzo e Lucia, l’affetto di coloro che li aiutano gratuitamente, senza volere niente in cambio, per il puro amor di Dio». L’opera riflette, secondo don Andrea, ciò che avviene «nella vita di ogni uomo: si incontra ad un certo punto, in modo chiaro, tutta la Salvezza e la questione della lotta tra bene e male». Combattimento, questo, che «non è ad armi pari. Bene e male non sono speculari: il male distrugge, il bene fa cose nuove».

L’opera ci mostra come, «dal male, Dio tira fuori il bene». È il caso della conversione di Lodovico, causata dal vedere il frutto della sua violenza, la morte di un uomo per causa sua, e la morte dell’amico sacrificatosi per lui. Ricevere il perdono per il delitto compiuto gli permette di iniziare a credere «di poter cambiare vita, di non esser condannato a ciò che ha fatto – sottolinea ancora il direttore dell’Ufficio catechistico diocesano -. Allora riceve un cuore nuovo che produce atti nuovi», di generosità e umiltà. Tormentata anche la storia dell’Innominato, uomo violento ed efferato, dilaniato interiormente perché «odia la vita che ha, senza sapere come uscirne», prosegue ancora don Andrea. «Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia»: questa frase di Lucia «gli apre una speranza, una possibilità» e lo spinge a incontrare il cardinale Borromeo, il quale «gli parla vedendo in lui il futuro. Sconvolto da questo sguardo che riceve su di sé, può vedere il proprio peccato ma anche sentire una gioia e una consolazione mai provate prima. Il perdono permette di vedere la verità».

Una storia di perdono, in questo caso donato, è anche quella che consente la conversione di Renzo, che riesce a rinunciare alla vendetta contro don Rodrigo grazie alla guida e alle parole di fra Cristoforo: «Forse la salvezza di quest’uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione… d’amore!». Chi rimane immutato è invece Don Abbondio, che «è il male nella sua forma più infida – sostiene don Andrea -. Vive cercando di preservare se stesso, il suo sistema è il quieto vivere: non sceglie tra bene e male, non ammette mai la verità, non ha fede».

A conclusione della storia, Renzo e Lucia si chiedono a cosa siano serviti due anni di peripezie e tutte le sofferenze affrontate, e «la verità emerge nel dialogo, nella comunione: i guai – rimarca don Andrea, riprendendo le parole di Lucia, ed è il “sugo della storia”, – vengono perché te li vai a cercare o, quando non li cerchi, “Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore”. La fede aiuta ad attraversare il male e il male diventa addirittura utile per una vita migliore, la vita buona frutto della conversione».

Al termine della serata, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, ha raccontato la storia di conversione dello stesso Manzoni: «Un’esistenza, la sua, fieramente  avversa al cattolicesimo». Fin dall’adolescenza, ha ricordato il porporato, aveva espresso con forza il suo sdegno per la Chiesa cattolica, poi però arriva alla svolta dopo il matrimonio con Enrichetta Blondel: «Manzoni si confessa il 28 agosto 1810 e ricorderà quel momento come quello della sua conversione. Da lì comincia la sua vita da credente». Una fede che si coglie nelle pagine manzoniane, secondo Ravasi, come «in filigrana», segno di come la «Parola di Dio lo precedeva e lo eccedeva».

5 aprile 2019