Con lo Spirito, per ascoltare il grido dei piccoli

Pentecoste, la diocesi con il Papa: «Noi siamo coloro che Dio sceglie come protagonisti del suo agire a Roma per attuare il suo progetto di salvezza»

È la sera di Pasqua, una sera di gesti nel cenacolo, dove per la paura le porte sono chiuse come i cuori. Il Maestro entra e mette in fuga i dubbi, i timori, le domande. Poi soffia sui discepoli: invia un’aria nuova, inaugura un tempo nuovo in cui non c’è posto per un rimprovero sul tradimento e la fuga; non si rinfaccia il dolore subito e il sacrificio della vita, perché l’amore sovrasta tutto, copre tutto. Incapaci di pronunciare qualsiasi parola, immobili e felici, gli apostoli tacciono e accolgono il dono soffiato su di loro: «Ricevete lo Spirito Santo».

Gesù aveva parlato dello Spirito molte volte ai discepoli, li aveva istruiti sul distacco da lui, su quello che sarebbe accaduto: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). Ed ecco ora dopo la risurrezione si compie la promessa, il Maestro soffia su di loro e lo Spirito che aleggiava sulle acque della creazione viene e rimane per sempre. Finalmente anche su loro, poveri e semplici seguaci di Gesù, deboli e dubbiosi, spira il sussurro della brezza leggera che Elia aveva sperimentato sul monte; anche su loro scende lo Spirito Santo come su Maria, che vide compiersi in lei la potenza dell’Altissimo; lo Spirito li ricolma come Zaccaria che profetò su Gesù dopo la nascita di Giovanni; è lo Spirito che riempì Elisabetta quando accogliendo la Madre del Signore la riconobbe benedetta e beata.

Lo Spirito nella Pentecoste della Chiesa viene su di noi oggi perché fu dato in dono a loro; allo stesso modo di Elia, di Maria, di Zaccaria ed Elisabetta, noi oggi diventiamo i profeti, i discepoli, i seguaci; noi siamo coloro che Dio sceglie come protagonisti del Suo agire a Roma per attuare il suo progetto di salvezza. Gesù prega il Padre per noi ed Egli ci dona colui che è chiamato perché stia accanto, dal greco “para-kaleo”, o con la formulazione latina “ad-vocato”, chiamato da Gesù a stare presso di noi.
La volontà del Padre e del Figlio è determinata, non ammette dubbi e ripensamenti: nessuno è solo, nessuno è abbandonato, nessuno è isolato, emarginato ed escluso, perché colui che è invocato accanto viene e rimane per sempre, sostiene, accarezza con il suo soffio creatore, mostra il suo volto, stende la sua ombra e copre con la sua brezza.

Dalla effusione dello Spirito nasce la Chiesa, popolo scelto da Dio che si evangelizza, cioè riconosce gioiosamente quelle molteplici ricchezze che lo Spirito genera nella Chiesa (Eg 117). Nella vigilia di Pentecoste una rinnovata effusione dello Spirito sarà l’esperienza culminante della diocesi di Roma, radunata in piazza San Pietro con Papa Francesco, avvolta dall’abbraccio simbolico del colonnato che esprime la vicinanza del Paraclito, illuminata dalle torce che simboleggiano i sette doni, convocata come comunità in festa, che canta e loda il Risorto, interrogata e rigenerata dalla Parola per mettersi sempre alla sequela del Cristo, memore della sua storia e della Grazia che la ricolma ogni giorno, consapevole e lentamente curata dalle sue malattie spirituali per mezzo del balsamo dello Spirito, missionaria tra la gente. Spogliata delle sue strutture pastorali autosufficienti che generano false certezze e clericalismo, per essere capace di ascoltare il grido dei piccoli, «che spesso è dolore e sogno di un “Altrove”, in cui si manifesta il bisogno della salvezza», ci diceva il Papa il 9 maggio. Pellegrina per le strade con Maria avvocata nostra, prima discepola del Signore che a tutti manifesta l’amore divino e sotto il cui manto questa città ha trovato grazia e rifugio. Venga ancora il sigillo del Paraclito sulla diocesi di Roma, stia accanto a noi nell’ora salvifica della nostra storia comunitaria e personale e rinnovi i cuori. (Giuseppe Midili, direttore Ufficio liturgico diocesano)

7 giugno 2019