Con “Belli di papà” Chiesa torna alla commedia

Dal traliccio della vetusta commedia italiana, il regista riesce a tirare fuori qualche imprevista novità che producono freschezza narrativa

Dal traliccio della vetusta commedia italiana, il regista riesce a tirare fuori qualche imprevista novità che producono freschezza narrativa

Guido Chiesa si è fatto conoscere in passato per Il partigiano Johnny ( 2000), tratto dal romanzo di Beppe Fenoglio, Lavorare con lentezza (2004), sulla vita a Bologna negli anni Settanta, Io sono con te (2010), coraggiosa e nitida rilettura del rapporto tra Gesù e Maria, in una cornice di scarno, ruvido realismo tra poesia e metafora. Titoli che mettevano insieme con acutezza e sagacia storia, letteratura, religione e si proponevano come rivolti in particolare ad un pubblico di cineclub e rassegne.

Deve essere anche con l’intento di provare nuove strade espressive che Chiesa ha aderito alla richiesta di cimentarsi con qualcosa di più vicino al mercato. È arrivato così questo Belli di papà, appena uscito nelle sale, una commedia diretta sul filo di un acre umorismo sociale pensando anche alla gestualità imprevedibile e alle multiformi risorse attoriali di Diego Abatantuono. Il quale interpreta qui Vincenzo Liuzzi, ricco industriale milanese vedovo che architetta una messa in scena per mettere in crisi i suoi tre figli tra i 20 e i 25 anni, superficiali e viziati.

Il punto di partenza è un film messicano campione di incassi in patria Nosotros los nobles, di Gary Alazraki, al quale Giovanni Bugnetti e Guido Chiesa si sono ispirati per scrivere soggetto e sceneggiatura. Su un’ambientazione che mette insieme la modernità sazia e sicura di sé di Milano e la modestia dignitosa e non rassegnata di un meridione arguto e pieno di risorse, Chiesa intesse una trama divertente e incisiva di intrighi ed equivoci. Riuscendo a comporre un tessuto di realtà e finzioni piacevole e vivace, a disegnare con credibilità i percorsi di personaggi all’inizio in lite e poi via via più capaci di conoscersi, di dialogare e accettarsi nel bene e nel male.

«Non volevo – dice Chiesa- fare un film sociologico, tanto meno di denuncia dei problemi del Sud. Mi interessava invece ambientare la storia in un contesto che sembra degradato per poi scoprire al suo interno una umanità varia, ricca di sfumature, con idee e preoccupazioni tutt’altro che scontate». L’argomento dei soldi che non danno la felicità accusa forse qualche ruga quanto a ripetizioni ma la innata vivacità di Abatantuono ne rivitalizza l’assunto e lo rende attuale e degno di riflessione.

È giusto che i giovani ricevano comprensione e che in cambio siano capaci di attivarsi per non vivere di rendita e costruire il proprio futuro. Insomma dal traliccio della vetusta commedia italiana, Chiesa riesce a tirare fuori qualche imprevista novità e a portare a casa risultati di svelta freschezza narrativa.

2 novembre 2015