Come acqua sulle nostre radici

La Vita Consacrata è chiamata a essere là, in ogni posto del Vangelo, in ogni città e villaggio abitato dell’umanità: da Cana a Nain, passando per Betania

La Vita Consacrata è chiamata a essere là, in ogni posto del Vangelo, in ogni città e villaggio abitato dell’umanità: da Cana a Nain, passando per Betania 

Attesa e profezia, prossimità e speranza, novità e compimento. Con queste parole papa Francesco ha chiuso in san Pietro l’anno della Vita Consacrata, lo scorso 2 febbraio versando acqua fresca sulle radici della vocazione di molti consacrati e consacrate presenti e aprendo ancora una volta le porte per un futuro di speranza.

Lo specifico della vita consacrata – ci ha ricordato il Santo Padre – è la profezia. Essere profeti ha a che fare con l’annuncio e la testimonianza, è raccontare con la parola e con la vita la «realtà di Dio», il suo volto. «Dire Dio» non è il compito di ciascuno di noi soltanto, è la missione di tutti insieme, ognuno con il suo carisma, con la vita della propria congregazione, del proprio istituto in quella fantasiosa multiformità dello Spirito che così bene si respirava nell’assemblea raccolta attorno all’altare di Pietro.

Se quello che abbiamo consacrato a Dio è la vita concreta di ciascuno di noi, la nostra storia, il nostro corpo, il nostro cuore, le nostre azioni, le nostre ferite, i nostri peccati perché da essi possa spuntare il seme della Misericordia per tutti coloro che incontriamo nel nostro mai banale quotidiano, possiamo sentire anche scorrere nel corpo della Chiesa la linfa della Vita Consacrata, come un organo solo, un unico tessuto, una fraternità chiamata a essere unita perché tutta consacrata a quella medesima missione di ricordare Dio e il Vangelo all’intero Corpo, all’intera umanità.

E come la vita della Chiesa è una,
perché una è la Sposa, uno il Corpo di Cristo così in san Pietro abbiamo potuto vedere che anche la Vita Consacrata è una e – visibile o nascosta – è nell’organismo quello che ha la funzione di portare la vita di Dio, la sua prossimità, il suo essere gomito a gomito con gli uomini e le donne di tutti i luoghi e di tutti i tempi. La Vita Consacrata è chiamata a essere là, in ogni posto del Vangelo, in ogni città e villaggio abitato dell’umanità: a Cana per condividere la gioia degli sposi, a Nain per ascoltare l’angoscia delle vedove e a Betania, nelle case toccate dalla morte e dal desiderio di risorgere dal peccato.

«Seguire Cristo vuol dire andare là dove Egli è andato; caricare su di sé, come buon Samaritano, il ferito che incontriamo lungo la strada; andare in cerca della pecora smarrita. Essere, come Gesù, vicini alla gente; condividere le loro gioie e i loro dolori; mostrare, con il nostro amore, il volto paterno di Dio e la carezza materna della Chiesa. Che nessuno mai vi senta lontani, distaccati, chiusi e perciò sterili» (Francesco, 1° febbraio 2016).

La fecondità della Vita Consacrata
ha il nome di speranza. «Testimoniando Dio e il suo amore misericordioso, con la grazia di Cristo potete infondere speranza in questa nostra umanità segnata da diversi motivi di ansia e di timore e tentata a volte di scoraggiamento» (Francesco, 1° febbraio 2016). Di questa umanità condividiamo talvolta i timori e lo scoraggiamento, tentati anche noi – come papa Francesco – di domandare al Signore che cosa sta accadendo e perché il grembo della Chiesa sembra diventato sterile, invitati a pregare ma anche a non perdere la speranza perché soltanto nella serenità di chi ha conosciuto il Signore, nella gioia di chi lo ha incontrato e nel realismo di chi lo frequenta la vita delle nostre comunità potrà essere grembo fecondo, terra dissodata nella quale giovani donne potranno desiderare di piantare le loro radici e giovani uomini voler spendere le loro energie migliori a servizio della Chiesa e dell’annuncio del Regno.

Fecondità è sinonimo di novità,
di attesa e compimento. Alle radici dei carismi e della vita delle nostre comunità ci sono intuizioni profetiche dei tempi nei quali i fondatori degli Istituti hanno colto le esigenze nuove dei momenti della storia, il ritmo scandito dall’orchestra dello Spirito e non hanno avuto paura di rischiare, lasciare, rinnovare. La nascita di un figlio si intesse in una storia, è tradizione e rinnovamento, antico e nuovo, sorpresa, novità.

Qualcosa che finisce lascia spazio a
qualcos’altro di nuovo. Perché questo anno della Vita Consacrata non sia trascorso invano teniamo il grembo del nostro cuore aperto al seme della Parola di Dio perché possa far nascere in noi e far crescere vita buona per il nostro tempo, e per il mondo che verrà.

 

 

8 febbraio 2016