Coltivare un’idea di futuro contro i «virus» di Roma

I sociologi Elisa Manna, Maurizio Fiasco e padre Camillo Ripamonti del Centro Astalli riflettono sulla preghiera dell’8 dicembre di Papa Francesco sulle malattie della Capitale

È stata la preghiera di un vescovo che custodisce nel cuore una grande speranza per la propria diocesi. Una preghiera «circostanziata », rivolta alla Vergine e utile alla città, perché descrive «il contesto sociale e culturale vissuto da tutti coloro che qui vivono o semplicemente passano per lavoro». Nelle parole rivolte dal Papa all’Immacolata lo scorso 8 dicembre, «i romani possono imparare a prevenire i rischi di quei virus pronti ad infettare le loro vite».

È l’analisi del presidente del Centro Astalli, il Servizio per i rifugiati dei Gesuiti al centro di Roma visitato dal Papa nel 2013. Essendo anche medico, padre Camillo Ripamonti dei virus conosce la struttura e la carica patogena: «Certe malattie le contrai inconsapevolmente, i microrganismi sono presenti nell’ambiente in cui vivi. La diagnosi, certe volte, arriva molto tempo dopo l’insorgenza dei primi sintomi». Francesco ha parlato di indifferenza, maleducazione civica, conformismo travestito da trasgressione, ipocrisia, paura del diverso e dello straniero.

«Accompagnando il percorso umano di tanti
richiedenti asilo e rifugiati, ci si imbatte spesso nello sguardo di chi, da cristiano, non è in grado di assumersi la responsabilità per quella parte di Regno che gli è stata affidata». È lo sguardo dell’indifferenza che diventa paura, «costruiamo muri per tenere fuori il “diverso”. Al Centro Astalli cerchiamo di scavalcarli con la cultura dell’incontro. Quando guardi una persona negli occhi e conosci la sua storia, ti accorgi che i desideri e le speranze che risiedono nel suo cuore sono tanto simili alle tue. In questo “riconoscersi” cadono le barriere».

Per la sociologa Elisa Manna, responsabile del Centro studi della Caritas diocesana, parlando di conformismo «il Papa ha centrato il tratto più caratterizzante la nostra epoca». Un “virus” che porta con sé «una serie di effetti secondari (narcisismo, uso spasmodico dei social in chiave esibizionistica) che vanno rintracciati in un compiacimento esagerato per i propri tratti di benessere e in un’invidia sociale per cui si tende a soffrire dei successi degli altri». Una situazione che porta – non usa mezzi termini la sociologa – a un «“incarognimento” dell’atteggiamento personale nei confronti degli altri. Una mancanza di empatia che ha immiserito la temperie culturale in cui viviamo facendoci ammalare di rassegnazione».

Oltre agli anticorpi spirituali di cui
ha parlato il Papa, Elisa Manna ne propone uno civico: «Gli insegnanti devono tornare a essere i protagonisti dello sviluppo culturale e sociale della nostra città». Un «esercito di maestri» – prendendo in prestito l’espressione di Gesualdo Bufalino, conclude Manna – «motivati, non deprezzati e stressati da una politica che non ne premia il valore».

Nelle parole del Papa, per il sociologo Maurizio Fiasco, «c’è l’indicazione di un principio di responsabilità; un richiamo alla classe dirigente a una motivazione che dall’alto verso il basso deve coinvolgere tutti coloro che, con ruoli grandi o piccoli, incidono nella vita quotidiana della comunità ». La missione delle classi dirigenti «non è solo quella di far funzionare le tecnostrutture degli apparati amministrativi, ma è soprattutto porsi come modello di comportamento collettivo».

Ritornare al bene comune, come indica il Papa, «vuol dire essere capaci di tornare a coltivare un’idea di futuro». A Roma «la cosa pubblica, molto spesso, diventa un prolungamento dell’interesse privato ». Questa è «la grande ipocrisia delle classi dirigenti » che questa città, «centro della ricerca universitaria e polo culturale tra i più grandi del Paese, non può più tollerare».

 

18 dicembre 2017