Clausura, monastero della Visitazione: «Queste grate sono aperte all’intimo»

Nella struttura di via Tiburtina vivono 15 suore provenienti da Messico, Porto Rico, Corazia, Francia e dall’Italia. Il racconto di quando diventarono le “segretarie” di San Giovanni Paolo II

Il silenzio è rotto dal suono delle campane e dalle voci delle suore. Dietro le grate si intravede il chiostro. Filtra una luce intensa. Il monastero di clausura della Visitazione è stato costruito in tempo di guerra, nel 1942, in una zona che un tempo era solo campagna, oggi è vicino la stazione Tiburtina. Lì ci sono le suore dell’ordine della Visitazione di Santa Maria, fondato da San Francesco di Sales e Giovanna Francesca di Chantal il 6 giugno 1610 ad Annecy, in Francia.

Il Monastero della Visitazione di Roma fu fondato dal Monastero di Torino il 2 aprile 1671. Il loro primo edificio romano fu in via della Longara, a Trastevere. Dopo aver cambiato varie sedi arrivano in via Galla Placidia, a ridosso della popolosa via Tiburtina. Lì vivono 15 suore provenienti da varie parti del mondo: 4 sono messicane, una portoricana, una croata, una francese e le altre italiane. La più giovane ha 41 anni, la più anziana 98. «Ricama, disegna: è sempre in attività», dice la superiora Chiara Margherita Magni, a Roma dal 1990, ma originaria di Merate, in Brianza.

Il silenzio del monastero accoglie il grido di dolore del mondo. «Oggi il dramma è la divisione. Ci sono conflitti di ogni tipo. La famiglia è trafitta. Le persone non hanno più la pace, spesso ci chiedono di pregare perché non hanno più notizie di un loro familiare o per le difficili separazioni». Ma c’è un altro dramma. «Sono tanti i casi di possessione diabolica. Molte persone nella difficoltà si rivolgono a maghe, fattucchiere e non si liberano più. Poi subentra la depressione, l’esaurimento nervoso e si è avvolti da un vortice di negatività». Ma le persone cosa chiedono? «Un orecchio, un ascolto pieno di tenerezza. Ci sono tante ferite che si potrebbero evitare se ci si perdonasse», racconta suor Maryam Micaela Jivan, di origini francese ed economa.

«Sono tutti alla ricerca della preghiera, è il pane che ci chiedono continuamente nei colloqui. Il nostro telefono squilla sempre. Ci chiamano non solo dall’Italia, ma anche dall’estero. La richiesta sempre la stessa: preghiera e consolazione per uscire dal vortice del dolore che li ha colpiti», spiega suor Maryam. La mitezza e l’umiltà aprono le porte del cuore. «Queste grate sono aperte all’intimo. La gente quando parla con noi vive la comunione dell’ascolto», sottolinea suor Maryam. «Il vero malato è il cuore dell’uomo. È pieno di odio verso l’altro, di rivalità, gelosia, voglia di dominio», aggiunge suor Agnese Fucà, originaria di Aragona in provincia di Agrigento, a Roma da 53 anni.

«Ogni nostro azione deve avere un profumo, che è come la Grazia di Dio: si sente, ma non si vede. E questo è il nocciolo del nostro carisma», spiega madre Chiara Margherita Magni. Ogni giorno queste suore, attraverso le loro opere, ripercorrono il cammino che fece Maria per aiutare Elisabetta che era in difficoltà. «Distribuiamo dei pasti a chi bussa alla nostra porta» dice la superiora madre Chiara Margherita Magni. Giornate lunghe e intense che iniziano con la sveglia alle 5.25 del mattino. Preghiera, meditazione e lavoro. Un tempo si dedicavano all’insegnamento, ora ai libri.

«Nel 1975 ci chiamano dal Vaticano per far rilegare e restaurare i documenti della Segreteria di Stato. Per noi un lavoro perfetto perché ben si concilia con la vita contemplativa. Poi quando è stato eletto Giovanni Paolo II, nel 1978, ci è arrivato anche l’incarico di smistare la sua posta. Un’incredibile mole di lavoro», spiega suor Agnese Fucà, originaria di Aragona in provincia di Agrigento, a Roma da 53 anni. «Oggi il lavoro è diminuito moltissimo, non facciamo più il restauro dei volumi, ma solo la rilegatura», racconta con un certo rammarico.

Il laboratorio è immerso nel verde, a far da colonna sonora tanti pappagalli e gabbiani: «Ci mangiano i pomodori dell’orto», dicono le suore. Intanto lavorano e rilegano i volumi con grande attenzione. Un incarico che portano avanti con passione. Cosa manca al nostro tempo? «La dolcezza, frutto della carità e di un cuore purificato, espressione di una mite pazienza», rispondono.

 

7 settembre 2018