Chiusure, «mazzata finale». L’allarme delle associazioni

La preoccupazione nel settore della ristorazione, nel mondo dello sport e del teatro. Il decreto Ristori? Giammaria (Confesercenti) «Un palliativo»

Il decreto Ristori non accontenta le categorie interessate dagli indennizzi. «È un palliativo», dice senza troppi giri di parole Valter Giammaria, presidente di Confesercenti Roma e Lazio, che definisce il dpcm del 24 ottobre «la mazzata finale per il settore». I 5 miliardi stanziati dal governo con risorse immediate «non coprono le perdite di fatturato e della gestione dell’impresa», aggiunge. Anche se si prevedono contributi a fondo perduto dal 100% al 200% di quanto già erogato nel mese di aprile con il decreto Rilancio, per Giammaria «il problema non si risolve perché gli affitti sono alti, le spese di gestione onerose e le tasse tante. Il contributo non è sufficiente per permettere alle aziende di andare avanti». Pensando alla ristorazione, riflette che «gli incassi maggiori, pari all’80%, si fanno all’ora di cena» e soffermandosi su Roma puntualizza che «con 430mila dipendenti in smart-working e l’assenza di turisti, i locali di giorno sono praticamente vuoti». Bar e ristoranti per Giammaria sono «luoghi sicuri» perché gli esercenti «hanno speso ingenti somme per adeguarsi alle misure di sicurezza».

Il decreto Ristori prevede altre 6 settimane di cassaintegrazione, aiuti a cinema e teatri, bonus per lavoratori dello spettacolo e dello sport e contributi a fondo perduto pari a 2,4 miliardi a favore di 460mila imprese interessate dall’ultimo dpcm, che stabilisce la chiusura delle attività di somministrazione e ristorazione alle 18. Queste misure generano «grande perplessità» in Romolo Guasco, dal 1° agosto direttore di Confcommercio Roma. «Con i locali chiusi e meno gente in circolazione – riflette – probabilmente anche i commercianti decideranno di abbassare prima le saracinesche. Sorprende il fatto che non c’è un dato scientifico che indichi pericolo di contagio particolarmente rilevante in bar e ristoranti. La sensazione è che si voglia anticipare l’orario di chiusura di determinate attività per evitare “il passeggio”».

La salvaguardia della salute pubblica costituisce il principio imprescindibile per i responsabili dei settori maggiormente coinvolti dall’ultimo decreto, i quali, però, non nascondono l’apprensione per i risvolti delle nuove restrizioni. Per Guasco si intravede il rischio di una «crisi sociale molto forte» perché si mette «in grande difficoltà un patrimonio di impresa che è anche sapienza territoriale, riqualificazione e sicurezza dei centri storici». L’auspicio è che oltre ai provvedimenti governativi «intervenga nuovamente il Comune per abbassare il costo della Tari».

Il decreto ha creato «malcontento» anche nell’ambito sportivo. Centinaia le persone che lavorano nel settore, e per il segretario generale Uisp Roma (Unione italiana sport per tutti), Simone Menichetti, «con questo nuovo stop di palestre e piscine tante realtà di base rischiano di non farcela visto che sono già state ferme da marzo a giugno». Consapevole del momento «particolarmente complesso», ritiene che «sarebbe stato più utile intervenire là dove le regole non venivano rispettate anziché chiudere indiscriminatamente tutto il settore». Passando allo spettacolo, per l’associazione Unita (Unione nazionale interpreti teatro e audiovisivo), nata a giugno e formata da attrici e attori, i teatri «potrebbero restare aperti con capienza al 75%, con distanziamento, con orari anticipati a prima del coprifuoco e fondi di ristoro governativi per i mancati guadagni del settore. Nessun ragionamento è stato fatto in tal senso – spiegano gli artisti – ma si è preferito procedere con la chiusura in blocco del settore». Gli attori chiedono «un fondo di ristoro a tutela di lavoratori artisti, tecnici, maestranze e la creazione di ammortizzatori sociali continuativi per artisti in difficoltà fino al termine dell’emergenza». Il segretario generale della Fisascat-Cisl di Roma Capitale e Rieti Stefano Diociaiuti chiede «interventi mirati e articolati in base alle esigenze del territorio, come ad esempio il riutilizzo di alcuni locali per il co-working».

3 novembre 2020