Magistrati, docenti universitari e avvocati del Centro Studi Livatino riconoscono come un fatto «certamente positivo» la decisione dell’Alta Corte inglese di riconoscere ai genitori di Charlie Gard quantomeno quella «possibilità di esprimersi» che finora pareva loro negata. «Quel che sorprende, tuttavia, di fronte alla motivazione del rinvio della decisione a giovedì – si legge in una nota -, è la concezione quasi “proprietaria” che sembra emergere: l’oggetto del giudizio non è se l’ospedale nel quale Charlie è ricoverato debba o non debba proseguire le terapie bensì se i genitori del piccolo abbiano il dovere e il diritto di tentare il possibile per salvarlo, in nome del favor vitae e ovunque vi sia la disponibilità».

Secondo gli esperti del Centro Studi, «se pure non si trovi alcuna terapia convincente, è inaccettabile che si autorizzi la sospensione del mantenimento vitale (idratazione, alimentazione e supporto respiratorio): esso non è nuova terapia sproporzionata e contraria all’attuale interesse del minore». Il documento diffuso mette l’accento proprio su questa concezione “proprietaria” del bambino considerandola «il riflesso più evidente di una mentalità eutanasica, diventata sistema: un elemento da tenere ben presente in Italia nella discussione in atto al Senato sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, il cui testo pone i minori e gli incapaci nell’arbitrio delle strutture sanitarie e dei giudici. Quanto accade oggi a Londra – è la conclusione – rischia di essere il nostro futuro».

11 luglio 2017