Internet e tv veicolano e condizionano il mercato: tanti dischi, poca scelta. Ma ci sono ancora canzoni che aiutano a comprendere il presente dal di dentro: occorre riabituarsi ad ascoltare
Molta gente si chiede (potrei aggiungere anche “mi chiede”..): ma come raccapezzarsi nella musica d’oggi? La questione è comune a tutti i linguaggi artistico-culturali: il cinema, l’arte figurativa contemporanea, la musica classica del nostro tempo, persino il giornalismo. Ma di sicuro la musica leggera, pop o rock che dir si voglia con tutte le loro possibili varianti, ha un impatto culturale-educativo differente da tutti gli altri mezzi comunicativi.
Invasiva e invadente, immaginifica e in grado di creare o codificare emozioni e ricordi, speranze e sogni, mode e parole d’ordine, la musica leggera è forse oggi il più poderoso aumento di comunicazione diffusa esistente sul globo. Jeans, Coca Cola e rock’n’roll: si diceva che questa triade fosse un marchio e fabbrica giovanile che funziona a Dallas come a Roma, a Tokyo come a Città del Capo. Difficile contraddire l’ipotesi, sia che in essa ci si veda un aspetto positivo, che – come diceva Pier Paolo Pasolini – ci si possa interpretare uno dei segni dell’odierna omologazione, che fa sembrare tutti uguali per ammazzare la tensione di una ricerca personalizzata nel mondo e nella vita.
Ma oggi il linguaggio, lo strumento e la moda musicale, pur così onnicomprensivi, scontano il problema della sovraesposizione. Oggi le canzoni sono veicolate da mezzi comunicativi primari, fortemente invasivi e considerati emotivamente e conoscitivamente autorevoli come internet e televisione.
È paradossale pensare che proprio mentre in tutto il mondo si sfornano migliaia e migliaia di dischi (alcuni anni fa una rivista americana di riferimento, Billboard, aveva messo in copertina la cifra di cd prodotti nell’annata: circa 17.000; ed era una stima per difetto….), mentre intere emittenti televisive costruiscono il proprio palinsesto sulla base dei video-clip, mentre i canali radiofonici passano canzoni in rotazione continua, mentre tutto questo “sembrerebbe” allargare i confini delle conoscenze, ebbene, in realtà “pare” che l’orizzonte delle scelte sia molto ridotto.
Tanti dischi, poca scelta. Tantissimi autori, pochissime star. Tante radio, tante ore di programmazione, ma sempre le stesse canzoni (la cosiddetta heavy-rotation governa l’etere). XFactor e MTV lanciano i fenomeni, le radio suggeriscono i gusti, i videoclip di Youtube confermano le nuove tendenze. E in tutto questo: dove sta la qualità? Tutto quello che si produce è puro intrattenimento? Nel passato il rock è stato a lungo il contatore di contenuti importanti, di tensioni e riflessioni giovanili: ed oggi? Dove stanno i veri valori del rock come arte (ammesso che ci siano ancora)?
Chi scrive ha più di 50anni, ha gusti propri radicati in un periodo di forte produzione di qualità e di modelli duraturi, ancora oggi influenti. Ma la questione, ovviamente, non è svilire in un confronto generazionale il macro-argomento della creatività artistica. Dylan è meglio di Lady Gagà? I Led Zeppelin sono preferibili ai Muse? Arisa non è comparabile a Mina? I Modà che fine fanno se paragonati alla Premiata Forneria Marconi o alle Orme (band superamate degli anni ‘70 e ‘80)? Domande inutili. O meglio: domande forse anche comprensibili, ma inutili per chi cerca di comprendere dove va la contemporaneità, cosa ha da dire e soprattutto come mai attrae i giovani.
Meglio provare a chiedersi cosa c’è nella canzoni delle star di oggi, che in una qualche maniera interpreta il presente, lo illustra, lo decodifica. Così facendo forse potremmo scoprire che ci sono canzoni che aiutano a comprendere il presente dal di dentro.
Ci sono quindi un paio di condizioni per raccapezzarsi nella proposta musicale (tanto per tornare alla domanda iniziale) sia che il tentativo sia fatto “per sé”, sia che il tentativo sia occasione di “capire gli altri”. Una prima è non smettere di ascoltare, superando la proposta imperiosa dei network dominanti, cercando e ricercando, senza pregiudizio, anche provando a superare ogni tanto l’impatto istintivo (naturale e sacrosanto) del proprio gusto. La seconda è non dare per scontato nulla. Anche sotto spoglie futili e modaiole possono ritrovarsi elementi interessanti per capire se stessi e gli altri e magari per scoprire che certe canzoni (quelle di cui ci occupiamo in questa rubrica, ad esempio), ci sono oggi come ieri.
Anni fa una band “tostissima”, i Collective soul, centrò il successo con milioni di dischi venduti, con un pezzo, “Shine”, che era una preghiera. Nessuno ci ha fatto caso. Il business era riuscito a ruminare anche quello. Tante canzoni dicono cose insospettabili, che a volte non riescono a bucare il martellamento ritmico con cui le nostre orecchie si fanno impermeabili. Siamo nell’epoca dei troppi rumori di fondo: occorre riabituarsi ad ascoltare. La curiosità e la ricerca non sono mai vinte, se crediamo che esse fanno parte della nostra partita umana più autentica.
6 maggio 2014