Centro Astalli: con la pandemia, tornano a chiedere aiuto anche gli italiani

Presentato il Rapporto annuale. Il cardinale Tagle: «Testimonianza di umanità». Sassoli (Parlamento europeo): le migrazioni, «sfida globale per l’Europa»

La pandemia da una parte, la guerra, la fame, le vessazioni dall’altra. In un mondo profondamente segnato dall’emergenza sanitaria e dalla crisi socio-economica che ha generato, stanno emergendo realtà più fragili di altre. Su chi è fuggito da guerre e persecuzioni oggi si abbatte anche la burocrazia ponendo numerosi ostacoli per l’accesso alla protezione. Il risultato è che in tanti si arrendono davanti alle “scartoffie” e rinunciano a far valere i propri diritti facendo crescere la richiesta di servizi di bassa soglia come mensa, docce, pacchi alimentari, medicine. Nel 2020 il Centro Astalli, che quest’anno celebra i 40 anni di attività, ha risposto alle necessità di circa 17mila migranti forzati, di cui 10mila solo nella sede di Roma. Nella mensa della Capitale sono stati distribuiti in media 210 pasti al giorno e ai 44.155 offerti in convenzione con Roma Capitale se ne aggiungono 11mila (42 al giorno) a carico del Centro Astalli destinati a senza fissa dimora e persone con grave disagio psico-fisico. Gli utenti sono stati 3.500 (2.198 i richiedenti o titolari di protezione), e tra loro, per la prima volta dopo molti anni, anche italiani. Il 30% del totale è senza fissa dimora. I dati sono riportati nel Rapporto annuale 2021 del Centro Astalli, sede italiana del servizio dei gesuiti per i rifugiati, presentato oggi, martedì 20 aprile, in diretta sul canale YouTube.

Il documento «non è un semplice resoconto di attività svolte» ma per il cardinale Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, rappresenta «una testimonianza di umanità, di amore attivo, di compassione». Numeri che mettono in risalto come la pandemia ha acuito «una situazione di sempre maggior marginalità delle persone con una protezione internazionale», ha affermato padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, ricordando che già da anni il servizio dei Gesuiti denuncia «come politiche securitarie ed escludenti hanno reso la vita dei rifugiati sempre più precaria. Il Covid-19 non ha fatto altro che rendere visibili gli invisibili, estremizzando la loro condizione».

Sfogliando le 140 pagine della pubblicazione si nota che il lockdown ha creato gravi disagi ai migranti che ogni giorno si spostano per cercare un lavoro o per sbrigare le pratiche per il permesso di soggiorno. Se da un lato i nuovi tesseramenti sono calati del 30%, dall’altro sono vertiginosamente aumentate le richieste di aiuto da parte di chi vive stabilmente a Roma ed è tornato a bussare in via degli Astalli perché ha perso l’occupazione precaria. È il caso di Mpemba Umba, rifugiata congolese in Italia, che ha perso il suo lavoro di receptionist in un albergo e che ora, grazie al Centro, studia per diventare operatore socio sanitaria. In tanti hanno chiesto aiuto perché in possesso di documento scaduto o in attesa del rinnovo da mesi. «Effetti dei decreti sicurezza, archiviati definitivamente a fine 2020, che hanno comportato come conseguenza l’impossibilità per molte persone di iscriversi al Servizio sanitario nazionale, con grave rischio durante la pandemia per la salute propria e di conseguenza per la salute della collettività», ha aggiunto Ripamonti. Grazie a 400 volontari che operano nelle sue 8 sedi territoriali (Roma, Bologna, Catania, Grumo Nevano, Palermo, Trento, Vicenza, Padova), 225 persone hanno trovato accoglienza in comunità, case famiglia o co-housing, 1.471 hanno potuto beneficiare di prestazioni mediche e 893 hanno potuto fare i test sierologici o il vaccino antinfluenzale o i tamponi antigenici.

Il Rapporto si sofferma sul fenomeno migratorio e mette in luce come la pandemia ha reso ancora più difficoltosi gli spostamenti. Lo scorso anno 168 Paesi hanno chiuso le loro frontiere e di questi, 90 hanno interdetto l’accesso anche ai rifugiati. Nonostante ciò, il numero degli arrivi in Italia è aumentato. Nel 2020 sono stati 34mila i migranti arrivati via mare, in forte aumento rispetto agli anni precedenti (11mila nel 2019 e 23mila nel 2018). Oltre 11mila i migranti soccorsi o intercettati nel Mediterraneo e riportati in Libia; oltre 1.400 le vittime accertate di naufragi. «Tutto questo ci dice che la pandemia per molte persone non è il peggiore dei mali – ha aggiunto Ripamonti -. È solo uno dei tanti che affliggono la loro vita, come essere in mano a trafficanti, sopravvivere nei centri di detenzione come quelli libici o essere riportati in un porto non sicuro». O finire ammassati nel «famigerato campo Vučjack in Bosnia, aperto nel 2019, dove non c’è né acqua né elettricità», ha aggiunto padre Stanko Perica direttore di Jrs Europa.

Per il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, «la sfida migratoria rappresenta una grande sfida globale di fronte alla quale l’Unione europea deve adottare un approccio più coordinato e coraggioso, basato sulla solidarietà e sulla responsabilità» sulla scia delle misure proposte dalla Commissione europea. «C’è ancora molto da fare – ha concluso -, purtroppo la pandemia ha rallentato l’intero processo ma spero che su questa proposta i governi possano tornare presto a discutere e a definire una risposta europea che sia all’altezza della nostra umanità». A tal proposito il cardinale Tagle ha ricordato che spesso i migranti «sono accusati di creare problemi nella società ma la testimonianza del Centro Astalli offre un quadro differente. Se riuscissimo a concentrarci solo sulle persone ci accorgeremmo che hanno gli stessi problemi, ansie, gioie, dolori di tutti».

20 aprile 2021