Alle frontiere dell’Unione europea, si legge nel report, «e a volte anche a quelle interne, c’è una vera e propria emergenza dal punto di vista della tutela dei diritti umani. L’assenza di vie legali di accesso per le persone bisognose di protezione le costringe ad affidarsi ai trafficanti su rotte che si fanno sempre più lunghe e pericolose. I tentativi dell’Ue e degli Stati membri di chiudere le principali rotte non proteggono la vita delle persone, come a volte si sostiene, ma nella maggior parte dei casi riescono a far sì che la loro sofferenza abbia sempre meno testimoni».

Strettamente ancorato a questa cornice il commento del presidente del Centro Astalli padre Camillo Ripamonti.  «In un momento in cui molti migranti restano intrappolati in Libia in condizioni disumane e il soccorso in mare è meno efficace rispetto al passato – afferma -, il nostro Paese ha scelto di adottare nuove misure che rendono più difficile la presentazione della domanda di asilo in frontiera, introducono il trattenimento ai fini dell’identificazione, abbassano gli standard dei centri di prima accoglienza. Quando le politiche, nazionali ed europee, europee spingono le persone ai margini, come accade sempre più spesso – osserva il gesuita -, è più facile che i leader e cittadini europei perdano di vista il fatto che i migranti sono persone, che continuano a conservare la speranza anche in circostanze molto difficili e hanno in ogni circostanza diritto a essere rispettati nella loro dignità». Sulla stessa linea anche le parole di padre Josè Ignatio Garcia, direttore del Jesuit refugee service Europa, che porta la riflessione sul piano delle politiche europee, le quali «sono riuscite a far sì che i numeri degli arrivi via mare in Italia si riducessero ma hanno fallito e continuano a fallire nel loro obiettivo di migliorare la situazione delle tante persone in cerca di protezione, che continuano a ritrovarsi dimenticate ai confini d’Europa».

Il progetto si è svolto tra i 2014 e il 2017. Le persone intervistate hanno descritto «viaggi pericolosissimi e interminabili, in cui il momento dell’attraversamento del mare era solo l’ultima e la più visibile delle molte esperienze traumatizzanti a cui erano sopravvissute. Molti avevano subito violenza e abusi durante il viaggio». Le donne in particolare spesso sono «costrette a prostituirsi per pagare i trafficanti». Una volta arrivati ai confini dell’Ue, «la situazione per la maggior parte degli intervistati non migliora: respingimenti violenti alle frontiere rimangono una triste realtà oggi in Europa. Quasi tutti i 17 intervistati in Croazia e Serbia, inclusi cinque minori, ci hanno raccontato storie di violenza fisica da parte della polizia di frontiera croata e di respingimenti immediati verso la Serbia».

Racconti simili anche da Melilla, uno dei territori spagnoli in Marocco: Mamadou, 27 anni, del Burkina-Faso, era riuscito a scavalcare l’ultima serie di barriere per raggiungere il territorio spagnolo dal Marocco quando è scivolato ed è caduto da circa sei metri d’altezza. «Si era gravemente ferito a entrambe le caviglie e non poteva più camminare. Quando le forze di sicurezza spagnole lo hanno trovato, invece che portarlo in ospedale l’hanno respinto in Marocco», ha raccontato padre Garcia. Anche «l’accesso alla procedura d’asilo è tutt’altro che scontato. In alcuni casi abbiamo visto come le autorità abbiano esplicitamente scoraggiato le persone dal presentare la domanda d’asilo perché – dicevano – il loro Paese non l’avrebbe comunque accettata. In diversi casi gli intervistati ci hanno raccontato come non avessero presentato domanda d’asilo perché non si sentivano adeguatamente informati, non sapevano cosa fare o non capivano la lingua in cui venivano fornite le informazioni».

13 novembre 2018