Centro Astalli, accanto ai più vulnerabili

Il presidente padre Ripamonti racconta l’impegno portato avanti nel tempo della pandemia, anche grazie ai fondi Cei dell’8xmille. Le testimonianze

La serenità di un posto di lavoro, la soddisfazione di riuscire a camminare da soli e di poter sostenere la propria famiglia. Sogni e progetti infranti in un batter d’occhio a causa di un virus invisibile e la mortificazione nel dover ammettere di aver bisogno di assistenza. Di nuovo. Al Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati, i colloqui più «dolorosi e delicati» vedono protagonisti proprio tanti uomini che nel giro di poche settimane hanno perso tutto. «Con fatica si erano inseriti nella società, avevano trovato un’occupazione ma a causa del lockdown sono stati licenziati», spiega Cristiana Bufacchi, operatrice sociale del Centro, che in queste settimane ha ascoltato decine di storie. Diverse nei contenuti ma con la stessa disperazione nel tono di voce.

Tra quelli che sono tornati a bussare alla porta di via degli Astalli, molti erano impiegati negli alberghi, camerieri ai piani o nei ristoranti, ma il crollo degli stranieri e del fatturato ha messo in ginocchio il comparto turistico andando a ingrossare le fila dei disoccupati. Far comprendere loro che «non c’è nulla di male a chiedere aiuto» non è stato semplice. Gli operatori sociali hanno letto nei loro occhi «la vergogna di dover tornare a raccontare la loro storia e di domandare un pasto alla mensa». Grazie ai fondi straordinari Cei dell’8xmille destinati all’emergenza Covid-19 è stato possibile «alleggerire le difficoltà di molte famiglie» aggiunge Cristiana. Il finanziamento, pari a 25mila euro, è stato erogato ad aprile. «Ci ha permesso di rispondere ai bisogni primari di queste persone – sottolinea il presidente del Centro Astalli padre Camillo Ripamonti -. Oltre all’acquisto di beni alimentari e di dispositivi di protezione, il denaro è stato utilizzato per il pagamento degli affitti e delle caparre. I non residenti non hanno potuto richiedere i buoni pasto e chi ha un affitto irregolare non si è potuto avvalere dei sostegni e degli ammortizzatori sociali. Con buona parte dei fondi è stato possibile aiutare i tanti precari che hanno perso il lavoro».

Priorità alle famiglie con bambini, alle mamme e papà single, agli ammalati. «Abbiamo cercato di dare precedenza ai più vulnerabili», spiega padre Camillo. Tra questi c’è Cedric, 30 anni, arrivato in Italia 4 anni fa dalla Repubblica Democratica del Congo. Nel suo Paese faceva l’attore ma a causa della sua partecipazione a una docufiction dell’Unicef che denunciava le violenze sulle donne in carcere da parte della polizia congolese è stato minacciato, incarcerato e torturato. «Sono stato costretto a fuggire per salvarmi», dice. A Roma ci sono anche la moglie e i due figli di due anni e dieci mesi, ospitati in un centro di accoglienza per rifugiati. «Il grande problema era trovare una casa e pagare l’affitto e le utenze – prosegue il giovane -. Grazie all’aiuto del Centro Astalli ho trovato un appartamento a San Basilio. Non ho un lavoro stabile, ora faccio volantinaggio ma con l’emergenza sanitaria ho nuovamente difficoltà. Qui la porta è sempre aperta a chi chiede aiuto».

Poi c’è Doris, nigeriana, di 39 anni. È arrivata in Italia con un permesso umanitario 12 anni fa. Vive da sola con i figli di 13 e 6 anni. «Ha grinta da vendere e nonostante le tante difficoltà non ha perso la sua naturale dolcezza», dice l’operatrice sociale Cristiana. La figlia più piccola ha la drepanocitosi, una malattia del sangue che la costringe a lunghi ricoveri in ospedale. «Appena arrivata in Italia avevo trovato lavoro in una scuola e stavo bene – ricorda Doris -. Mia figlia però ha bisogno di continua assistenza e a causa delle assenze ho perso il lavoro». Il Centro Astalli la segue «costantemente» aiutandola a pagare l’affitto e le bollette. Non solo. «Qui trovo sempre una parola di conforto che mi aiuta nei momenti difficili – prosegue la donna -. Aprile, per esempio, è stato un mese terribile perché mia figlia era in ospedale, in più la paura del coronavirus e la preoccupazione per l’altro figlio a casa accudito da una parente».

Al Centro Astalli, a due passi da piazza Venezia, in questo periodo non si incontrano solo rifugiati e richiedenti asilo. «È cambiata la geografia della popolazione che si rivolge a noi – dice ancora padre Camillo -. Nelle scorse settimane circa la metà delle persone che abbiamo accolto sono italiani e migranti che vivono di lavori precari e si sono rivolti alla nostra mensa». Nelle prossime settimane una parte dei fondi straordinari Cei dell’8xmille sarà utilizzata per «finanziare la ripartenza – dice Ripamonti -. Per i rifugiati, gli invisibili della società, per chi vive ai margini significa ripartire da zero e rimettersi a cercare un lavoro. Organizzeremo dei corsi di formazione e dei tirocini che permettano a queste persone di essere autonome e di inserirsi nuovamente nel mondo del lavoro». Padre Camillo non dimentica i «dolorosi no» che i volontari sono stati costretti a pronunciare. Ad esempio, è stato sospeso il servizio docce, «per la difficoltà di dover sanificare dopo ogni utilizzo», riferisce il gesuita. Per i volontari e gli operatori è stato «penoso» vedere «lo smarrimento» sul volto degli utenti e «dover riconoscere di non poter essere utili a chi chiedeva solo di potersi lavare».

30 settembre 2020