Centri di riabilitazione: «Rischiamo la chiusura»

Appello di Aris e Foai alla Regione Lazio. Un contratto non rinnovato da circa 15 anni, seri problemi per la degenza di circa 25mila persone

Appello di Aris e Foai alla Regione Lazio. Un contratto non rinnovato da circa 15 anni, seri problemi per la degenza di circa 25mila persone

Un contratto che non è rinnovato da 15 anni e che ora mette a rischio la degenza di circa 25mila persone, adulti, ragazzi e bambini, pluriminorati, con disagi psichici e fisici. Un dramma che rischia di abbattersi su migliaia di famiglie. Il grido d’allarme lo lanciano l’Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari) e la Foai (Federazione degli organismi per l’assistenza alle persone disabili), diretto alla Regione Lazio e al suo governatore, Nicola Zingaretti: «È dal 1999 che la retta di degenza non viene adeguata – dice Michele Bellomo, presidente regionale dell’Aris Lazio -, senza contare che i Comuni, che coprono il 40% della retta, non pagano o pagano con molto ritardo. Ogni paziente costa, all’incirca, 119 euro al giorno. Abbiamo requisiti severi da rispettare, serve un riallineamento delle quote, altrimenti si rischia la chiusura». E sarebbe un vero dramma per migliaia di famiglie, senza contare i posti di lavoro persi.

Gli operatori, che nel linguaggio burocratico vengono definiti dei «centri di riabilitazione ex articolo 26», si occupano ogni giorno di pazienti affetti da gravi patologie come autismo, schizofrenia, persone sorde o motulese, persone affette da più patologie complesse: «Gli ultimi, gli emarginati, quelli completamente dimenticati dalla società», ammette Bellomo. Centri come il Don Orione, l’Eugenio Litta, il Don Guanella, la Fondazione Santa Lucia, l’istituto Vaccari, l’Anfass di Roma, oltre 70 strutture, religiose e laiche, sparse in tutta la regione, che contano oltre 10mila posti di lavoro, indotto compreso. «L’utente – sottolinea Bellomo – è a pieno carico della struttura: in questi 15 anni, con non pochi sforzi economici, abbiamo resistito all’aumento dei costi del 57%, ad un taglio del budget che, negli anni, è arrivato al 16%, tutto senza mai far mancare nulla ai nostri pazienti. Ma ora, se la situazione non sarà prontamente affrontata, potremmo resistere ancora pochi mesi. La cosa peggiore – ammette Bellomo – è che finora, nonostante le mille difficoltà, non abbiamo mai rifiutato nessuno. Se continua così, saremmo costretti a farlo».

Secondo il presidente dell’Aris Lazio, servirebbe un adeguamento della retta di circa il 18-20%: «È il minimo per continuare – spiega -. Abbiamo chiesto alla Regione Lazio di fare il suo lavoro. Noi diamo ogni giorno un servizio importante ma siamo stati dimenticati. Se la Regione non si muove, siamo pronti ad arrivare davanti alla Corte di giustizia europea. Abbiamo avuto un colloquio cordiale con esponenti della Regione e aspetteremo non più di una settimana. Possiamo resistere ancora qualche mese. Non di più». Nel 2013 la Regione Lazio aveva istituito un’apposita commissione, al fine di adeguare le tariffe dei centri «ex articolo 26». Nulla si è più saputo. «Ciò che chiediamo è la riapertura di un confronto con tutte le associazioni e un cronoprogramma per l’adeguamento delle tariffe». In queste strutture ci sono persone, alcune entrate fin da piccole e oggi adulte, che hanno disagi importanti e solo se adeguatamente seguite possono avere uno stile di vita accettabile. «Quello che vorremmo fare presto – dice Bellomo – è annunciare a tutti la risoluzione di questo problema, soprattutto per dare tranquillità e certezza ai nostri operatori e alle famiglie dei pazienti».

6 luglio 2015