Censis: il sistema Italia, «ruota quadrata che non gira»

Presentata la 54ª edizione del Rapporto sulla situazione sociale del Paese: dal «geniale fervore» le risorse per costruire il “nuovo” dopo la pandemia

Il «geniale fervore» del Paese, fatto di «risorse, competenze, intuizione ed esperienza», come premessa su cui costruire il “nuovo” dopo l’esperienza della pandemia. È il filo conduttore del 54° Rapporto sulla situazione sociale del Paese presentato dal Censis, che scommette ancora una volta sulla capacità degli italiani di affrontare le «curve drammatiche e inaspettate che mutano radicalmente i paesaggi del vivere, individuale e collettivo». Come, appunto, quella rappresentata dal virus che «ha aggredito una società già stanca – si legge nel Rapporto -, provata da anni di resistenza alla divaricazione dei redditi e alla decrescita degli investimenti, incerta sulle prospettive future, con un modello di sviluppo troppo fragile. Una società indebolita nel suo scheletro complessivo», eppure «ancora sufficientemente vitale per resistere e combattere a favore della risalita».

Occorre però cambiare marcia rispetto a un anno in cui «siamo stati incapaci di visione», limitandoci a interventi tampone – dalla distribuzione indifferenziata di bonus e sussidi al blocco dei licenziamenti – che hanno posto un limite alle ricadute sui soggetti sociali più deboli. Ma «il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci», osservano dal Censis, e «l’attesa si è trasformata in disorientamento e il contagio della paura rischia di mutare in rabbia». La realtà odierna, precisano i ricercatori, «ci impone di prendere atto che il Paese si muove in condizioni troppo rischiose per non mettere in campo un’azione sistemica della mano pubblica». E indicano quattro filoni: «Un nuovo schema fiscale; un ridisegno del sistema industriale e un ripensamento della qualità degli investimenti; un ripensamento strutturale dei sistemi e sottosistemi territoriali; una revisione di ruolo, identità, funzioni e responsabilità dei soggetti del terzo settore.

Al momento, si legge ancora nel Rapporto, «il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti». Un problema, questo, che non nasce ora ma che «mai si era visto così bene come durante quest’anno eccezionale. Privi di un Churchill a fare da guida nell’ora più buia, capace di essere il collante delle comunità – sostengono gli analisti del Censis -, il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data, alla rissosità della politica e ai conflitti interistituzionali».

L’Italia si è riscoperta così «spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza». Il 73,4% degli italiani indica «nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente». In questa situazione, lo Stato diventa «il salvagente a cui aggrapparsi nel momento del massimo pericolo». Il 57,8% dei cittadini «è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della salute collettiva» e ancora di più sono coloro che chiedono pene severe per chi non rispetta le regole anti-contagio. Nel crollo verticale del «Pil della socialità», un giovane su due (49,3%) ritiene giusto che i suoi coetanei siano curati prima degli anziani. E «tra antichi risentimenti e nuove inquietudini» persino la pena di morte torna «nella sfera del praticabile», raccogliendo il 43,7% dei consensi.

Un capitolo particolare del Rapporto è dedicato a quelli che il Censis chiama «poveri all’improvviso», per i quali la pandemia ha avuto conseguenze economiche repentine e devastanti. Anzitutto sul piano del lavoro. Nel secondo trimestre dell’anno si registrano 841mila occupati in meno e 1.310mila persone inattive in più rispetto al 2019. Aumentano del 4,8% coloro che rinunciano per scoraggiamento a cercare un lavoro. E il 17,1% della popolazione dispone di risorse finanziarie per meno di un mese. A pagare il prezzo più alto in termini occupazionali sono come sempre giovani e donne, insieme agli immigrati. Ma per l’85,8% degli italiani la crisi da Covid ha confermato che «la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no». Su tutti, «i garantiti assoluti: i 3,2 milioni di dipendenti pubblici. A cui si aggiungono i 16 milioni di percettori di una pensione, una larga parte dei quali ha fornito un aiuto a figli e nipoti in difficoltà: un “silver welfare” informale. Poi si entra nelle sabbie mobili: il settore privato senza casematte protettive».

In questa situazione segnata da precarietà lavorativa e incertezza economica, si prefigura un aggravamento ulteriore del problema demografico. Il rischio generazione zero figli». Non va tuttavia dimenticato che durante questa crisi oltre 14 milioni di italiani hanno beneficiato di sussidi per un totale superiore a 26 miliardi di euro: «È come se a un quarto della popolazione italiana fossero stati trasferiti quasi 2mila euro a testa». Ma la “bonus economy” non è in grado di costruire il futuro.

4 dicembre 2020