Cattolici e sciiti in dialogo: promuovere pace e concordia
Il convegno promosso da Sant’Egidio, Missio e Imam Khoei Foundation rilancia il ruolo delle religioni. «L’islam non c’entra con l’estremismo»
Il convegno promosso da Sant’Egidio, Missio e Imam Khoei Foundation rilancia il ruolo delle religioni. «L’islam non c’entra con l’estremismo»
«C’è una immagine orrenda dell’Islam, storpiato nella mente di tanti popoli: l’immagine terrificante di una religione che invece è basata sull’invito alla pace, alla conoscenza reciproca, alla tolleranza verso tutti, a prescindere dalle differenze di razza, lingua, sesso e religione. Il compito dei dotti islamici è di togliere legittimità ad ogni violenza perpetrata in nome dell’islam. L’islam non ha nulla a che fare con i gruppi estremisti».
Partecipando, martedì 24 marzo, all’incontro su “Cattolici e sciiti. Responsabilità dei credenti in un mondo globale e plurale” – promosso da Comunità di Sant’Egidio, Missio e Imam Khoei Foundation – il teologo libanese Mohamad Hassan Al-Amine ha rivolto un appello a tutti gli intellettuali islamici: promuovere l’islam come religione della pace e non della violenza. Ma perché le religioni si trasformano in strumenti di paura?
A questa domanda ha provato a rispondere Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio. L’ex ministro ha descritto la «società urbanizzata» come una dimensione dai «confini mobili», dove le religioni devono vivere insieme. L’insicurezza sulle proprie radici può generare paura: «Nel mondo globale l’uomo non sopporta di essere senza radici e si rifugia nel fanatismo». La «rinascita delle religioni», che la modernità dava per moribonde, «ha significato fanatismo e conflitto tra religioni».
Anche il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, ha analizzato il «ritorno del sacro» dopo il marxismo: «Un ritorno accompagnato dall’idolatria. Tolto Dio, viviamo in un mondo inumano. Oggi il problema non è l’ateismo, ma l’idolatria. La religione non deve far parte del conflitto, ma della soluzione. Dobbiamo combattere l’idolatria e il materialismo. I responsabili religiosi devono promuovere pace e concordia e la religione deve favorire il rispetto reciproco e la pace sociale».
Definiti gli obiettivi condivisi, Jawad Al-Khoei, segretario generale dell’Al-Khoei Institute (Iraq), ha provato ad indicare possibili strumenti per trasformare le religioni in promotrici di pace: «Promuovere il consolidamento dei denominatori comuni. L’inclusione, nel dialogo interreligioso, di tutte le classi sociali, operai, impiegati e gente comune. Affrontare l’estremismo, accettare la pluralità delle credenze e promuovere una comunicazione costruttiva. La mancata comunicazione crea infatti ignoranza nei confronti dell’altro. Da qui nascono stereotipi e diffidenza».
Eppure ci sono molti «molti denominatori comuni tra islam e cristianesimo, tra sciiti imamiti e cattolici», ha sottolineato Waleed Faraj Allah, della Facoltà di Teologia di Kufa (Iraq): «Maometto e Cristo hanno fatto di tutto per diffondere la pace. Cristo diede un annuncio bellissimo all’operatore di pace: essere figlio di Dio. Per Maometto la pace è l’unica strada per raggiungere il paradiso. Islam e cristianesimo vogliono raggiungere una vera pace sulla terra, di cui possano godere tutti gli uomini». Infine ha proposto di «costruire un movimento cristiano e musulmano che lavori per la pace».
Secondo il cardinale Reinhard Marx, presidente della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea, la religione può integrarsi nella società e contribuire al suo sviluppo: «La società moderna e pluralista è soddisfatta quando le religioni funzionano, perché promuovono azioni morali». La religione può essere strumento di pace: «Cristiani e musulmani vogliono essere il problema o la soluzione?».
In questo quadro i media giocano un ruolo fondamentale, ha spiegato Maytham Al Salman, presidente del Bahrain Interfaith Center. «Le religioni devono prendere le distanze dal linguaggio di odio religioso nei media. Non si deve dare adito alla crescita dell’odio strumentalizzabile da parte di estremisti religiosi. Quando i terroristi attaccano chiese o villaggi deve esserci un approccio collaborativo per trattare questi fatti. I leader religiosi che legittimano la violenza e accettano l’uso di un linguaggio violento contro altre religioni non sono né religiosi né veri leader».
Secondo Matteo Zuppi, vescovo ausiliare di Roma, le religioni, da sempre «esperte di umanità», devono recuperare l’amore per l’uomo: «I credenti devono avere responsabilità e una simpatia immensa verso l’uomo così com’è. Ma a volte questa simpatia non c’è. A volte l’uomo non conta nulla, diventa oggetto. “Simpatia” vuol dire invece “vedere il bene che c’è nell’altro”. Il Vangelo non ha una ricetta, non ha un progetto politico, non indica soluzioni specifiche, ma compromette tutti nella costruzione di una società più attenta all’uomo».
In questa costruzione, l’istituzione della famiglia come “palestra di pace” può svolgere un ruolo fondamentale. «È necessario – ha sottolineato Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia – promuovere tra i credenti delle diverse religioni e gli uomini di buona volontà una convergenza di attenzione per riportare la famiglia al centro dell’attenzione della società, sia civile che politica. “La famiglia – ha concluso il presule citando Papa Benedetto XVI – è fondamento della società perché permette di fare determinanti esperienze di pace”».
25 marzo 2015