Castelnuovo. Morcone (Cir): «Il centro andava chiuso ma non così»
Secondo il prefetto il Cara era da tempo nella modalità di essere sgomberato, perché si trova in una zona alluvionale «ma le persone andavano trattate diversamente». Salvini annuncia la chiusura di altri centri tra cui Mineo, Bologna, Bari e Crotone
Al 1° gennaio 2018 erano 183mila le persone in accoglienza in Italia, un anno dopo sono 103mila. Una tendenza in diminuzione anche per il calo delle domande di asilo presentate. I dati sono stati resi noti mercoledì 23 gennaio dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che ha ribadito il suo impegno a chiudere tutti i grandi centri di accoglienza. «È necessario chiuderli e ospitare gli immigrati in centri più piccoli, più controllabili e la cui gestione risulta più efficace e trasparente» ha detto. L’esempio è quanto già avvenuto in Veneto, con i centri di Cona e Bagnoli, e a Castelnuovo di Porto, dove in questi giorni si sta portando avanti, tra le polemiche, il trasferimento delle persone presenti in altre regioni italiane. Lo sgombero deI centro di Castelnuovo di Porto, che dista circa 25 chilometri da Roma, rientra nelle misure annunciate dal ministro Salvini, che, tra le altre cose, prevede il progressivo svuotamento dei Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati) in Italia. Come ha precisato lo stesso Salvini, il prossimo sarà quello di Mineo, in Sicilia, poi toccherà a quelli di Bologna, di Bari e di Crotone, che in totale ospitano circa 6mila richiedenti asilo.
Cosa sono i Cara. Il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) è una struttura in cui vengono accolti i migranti che intendono chiedere la protezione internazionale. I Cara sono stati istituiti a seguito della riforma del diritto di asilo, conseguente al recepimento di due direttive comunitarie (DPR 303/2004 e D.Lgs.28/1/2008 n.25). Sono gestiti dal ministero dell’Interno attraverso le prefetture, che appaltano i servizi dei centri a enti gestori privati attraverso bandi di gara. Le convenzioni variano e lo Stato versa all’ente gestore una quota al giorno a richiedente asilo. Con quella cifra devono essere garantiti l’alloggio, i pasti, l’assistenza legale e sanitaria, l’interprete e i servizi psico-sociali. Secondo il decreto legislativo n. 142 del 2015, i Cara dovevano essere convertiti in “centri governativi di prima accoglienza” e sostituiti dai centri governativi per richiedenti asilo a livello regionale o interregionale, i cosiddetti Hub previsti dalla Roadmap italiana. In realtà, anche per la mancanza di posti nelle strutture ordinarie, sono diventati una modalità ordinaria di prima e seconda accoglienza.
Il caso di Castelnuovo di Porto: «Andava chiuso ma non così». Quello alle porte di Roma è il secondo Cara d’Italia, dopo Mineo, per numero di posti disponibili. Il centro è attivo dal 2008 in uno stabile di proprietà dell’Inail di 12mila metri quadri. Nel 2016 era diventato anche il principale hub italiano per la relocation, il programma europeo di ricollocamento. Dal 2014 è gestito dalla cooperativa Auxilium e sorge vicino al fiume Tevere. «In realtà il Cara di Castelnuovo di Porto era da tempo nella modalità di essere sgomberato, perché si trova in una zona alluvionale. Al di là dei costi di affitto, non sarebbe stato possibile rinnovare il contratto perché gli organi di controllo non lo avrebbero fatto passare come centro adatto all’accoglienza di persone, proprio per il rischio ambientale – sottolinea Mario Morcone, direttore del Cir (Centro italiano rifugiati) ed ex capo del Dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno -. Il problema sono le modalità: bisognava procedere sentendo le ragioni delle persone, sistemare diversamente chi aveva i bambini a scuola e chi aveva un lavoro in zona. Bisognava cioè trovare delle soluzioni consone per queste persone». Il sindaco di Castelnuovo di Porto Riccardo Travaglini ha detto di non aver ricevuto nessuna comunicazione ufficiale dal ministero dell’Interno in merito alla chiusura. «Questa non è la procedura normale – aggiunge Morcone -. Tutto questo andava fatto di concerto con il sindaco e la comunità locale, ragionando insieme per salvaguardare i diritti delle persone. Questa è la cosa brutta che si sta verificando. Si doveva gestire diversamente la situazione, questo è il problema. Questa ormai è una politica della sofferenza che tende a far capire che le persone non saranno aiutate. Non si stanno trattando oggetti o numeri ma persone. In questi casi si devono trovare mediazioni giuste senza distruggere le aspettative e le speranze di queste persone».
I titolari di protezione umanitaria rischiano di finire per strada. I trasferimenti continueranno fino al 30 gennaio e le persone saranno spostate in strutture più piccole in diverse regioni: Abruzzo, Basilicata, Molise, Campania, Marche, Piemonte, Lombardia, Toscana, Umbria ed Emilia Romagna. «L’altro problema sono le persone che rischiano di restare per strada e che non troveranno accoglienza da nessuna altra parte», aggiunge Morcone. Secondo il decreto Salvini infatti i titolari di protezione umanitaria non hanno diritto a rimanere nelle strutture di accoglienza. E nel centro di Castelnuovo di Porto ce n’erano circa un centinaio su 500 presenze totali. «Il problema è che queste persone rischiano di finire su una panchina della stazione».
Lavoratori non tutelati. Infine, ci sono circa 120 persone che rischiano il posto di lavoro. «Sono monoreddito e ho un figlio all’università, se perdo il lavoro non so come mantenerlo né come pagare l’affitto di casa. Nessuno ci sta dando rassicurazioni sul nostro futuro ma è quasi sicuro che diventeremo tutti disoccupati – spiega Dora Mangione, un’operatrice socioassistenziale che lavora nella struttura -. Nella mia stessa situazione ci sono altri colleghi che hanno bambini piccoli e un mutuo da pagare. Il decreto sicurezza sta creando un disagio sociale assoluto, sta creando disoccupati. Dov’è il prima gli italiani? Qui ci tolgono il pane di bocca. È una cosa vergognosa».
25 gennaio 2019