Caso Lambert, il prendersi cura non è mai “futile”

In gioco la distinzione tra terapia e cura, che si lega alle relazioni umane e alla solidarietà da prestare a chi non può autonomamente provvedere a nutrirsi

«Pacta sunt servanda» è un’espressione antica che indica il principio universale secondo il quale gli accordi “devono” essere osservati dalle parti contraenti. Su questa base giuridica si fonda il diritto internazionale. Eppure tale principio plurimillenario sembra non valere nel drammatico caso di Vincent Lambert, l’infermiere francese che, rimasto vittima di un grave incidente stradale, vive da oltre dieci anni in uno stato di coscienza minimale, idratato ed alimentato attraverso un sondino. Infatti, sebbene la Corte d’Appello di Parigi – sulla scorta di quanto richiesto dal Comitato dell’Onu per i diritti delle persone disabili – avesse ordinato di riattivare i sostegni vitali che veicolano il sostentamento a Vincent Lambert, poi, però, ribaltando la sentenza per un motivo di incompetenza formale, la Cassazione francese ha nuovamente legittimato la decisione favorevole alla sospensione della somministrazione dei liquidi nutrienti con l’inevitabile conseguenza della morte di Vincent.

Davvero risulta incomprensibile che la Francia, cofondatrice dell’Onu, di cui è membro permanente nel Consiglio di sicurezza, ora ne prenda le distanze disattendendo una richiesta di moratoria così importante e drammatica. Nel merito della vicenda, il Codice francese (Code de la santé publique) indica una procedura collegiale al termine della quale sta nella facoltà del medico responsabile decidere se proseguire o meno i trattamenti, salvo che potrà poi essere adita l’autorità giudiziaria, come peraltro la vicenda dimostra. In particolare il Codice vieta l’ostinazione irragionevole e permette l’interruzione di trattamenti considerati inutili e sproporzionati o di quelli aventi il solo effetto di mantenere artificialmente la vita.

Il tema coinvolge, drammaticamente, la distinzione cruciale tra cura e terapia. Il cosiddetto accanimento terapeutico e il trattamento inutile o sproporzionato, infatti, non possono che
configurarsi nell’ambito di una terapia sanitaria che si ritenga “insopportabile”. Viceversa, se si qualifica la nutrizione e l’idratazione all’interno del concetto di “terapia medica” – come purtroppo fa anche la recente legge italiana sul fine vita – viene del tutto vanificato il valore universale della “cura”, che, nel caso di un sostegno vitale come la somministrazione di liquidi per il sostentamento, si lega piuttosto alle relazioni umane e alla solidarietà che doverosamente va prestata a chi non può autonomamente provvedere a nutrirsi.

Invece, nel caso francese, si applica il criterio fallace della “inutilità” del trattamento, ancorandolo a elementi statistici e probabilistici in ordine a un necessario miglioramento della salute del paziente: il giudizio di futilità è del tutto inconferente, trattandosi di una situazione di accudimento e conforto del paziente («to care»). Il prendersi cura di una vita non può per definizione essere considerato «futile». L’applicazione di tale criterio a un caso come quello di Vincent Lambert non coglie la distinzione tra futilità (possibile) di un intervento terapeutico e futilità (impossibile) di un trattamento di accompagnamento anche con un sostegno vitale, e ciò a causa dell’erronea prospettiva che la somministrazione di nutrienti configuri una forma di mantenimento “artificiale” del paziente, mentre è vero il contrario, in quanto la vita umana – sempre e a prescindere da una malattia – ha naturalmente bisogno di essere sostentata.

Dal quadro complessivo della vicenda emerge un concetto di dignità della vita umana arbitrariamente misurato in modo diverso nei confronti dei soggetti incapaci di avere interazioni con gli altri o con gravi deficit cognitivi. L’auspicio ora è che la Francia recuperi la saggezza che l’ha resa grande senza forzare con un atto giudiziario interno ciò che l’Onu ha chiesto di scongiurare e impedisca che a Vincent Lambert venga praticata una procedura eutanasica attraverso l’interruzione di quanto gli è necessario per vivere. (Alberto Gambino, presidente dell’associazione Scienza&Vita)

8 luglio 2019