«L’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti». La Corte costituzionale motiva con queste parole la sospensione del giudizio sul caso dell’aiuto al suicidio assistito da parte di Marco Cappato a dj Fabo, nel febbraio 2017 – caso nel quale l’esecutivo Gentiloni si era costituito parte civile nel procedimento sollevato dalla Corte d’Assise di Milano -, per «consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina». La Consulta rinvia dunque la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale all’udienza del 24 settembre 2019.

Per i giuristi del Centro studi Livatino, in attesa di leggere l’ordinanza «il primo dato certo che emerge dalla decisione della Corte costituzionale è che la norma che sanziona l’aiuto al suicidio resta in vigore e non viene ritenuta illegittima: la sua eliminazione avrebbe gravemente compromesso il diritto alla vita». Il secondo dato, spiegano i magistrati, docenti universitari, avvocati e notai del Centro studi, è che «la valutazione su sue eventuali modifiche compete al Parlamento, chiamato ad assumere piena responsabilità su questioni cruciali come la vita e la morte, e se mai differenziando fra le specifiche situazioni che emergono dalla drammaticità del quotidiano». In una nota diffusa nella giornata di ieri, 24 ottobre, osservano ancora che «i tempi che l’approfondimento della Corte ha richiesto testimoniamo complessità e probabilmente posizioni culturali differenti all’interno della Consulta. Su questo terreno – assicurano – non verrà meno l’impegno a elaborare ulteriori spunti di riflessione da parte del Centro studi Livatino, che si è presentato nel giudizio con un suo atto di intervento e nel dibattito relativo col numero speciale di L-Jus, la propria rivista on line».

Sulla decisione presa ieri dalla Corte costituzionale si esprime anche il presidente emerito Cesare Mirabelli, che parla di «un’ordinanza che delinea un nuovo strumento del quale la Corte si dota: decidere di non decidere. Rimettendo al Parlamento, entro un determinato tempo, la possibilità di adottare una disciplina che bilanci diversi interessi che la Corte giudica meritevoli di considerazione. È il legislatore – evidenzia Mirabelli – che deve e può provvedere. Cosa significa lo sapremo leggendo il testo dell’ordinanza, se delinea quali sono questi interessi e come il Parlamento possa bilanciarli. Preannuncia una valutazione di non adeguatezza costituzionale della disciplina esistente».

Il presidente emerito della Consulta ricorda che «il Parlamento di recente si è pronunciato sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, prevedendo la possibilità della sedazione palliativa profonda continua, unitamente alla terapia del dolore, nel caso di paziente con prognosi infausta a breve termine. Naturalmente il trattamento deve avere il consenso. Evidentemente – sottolinea – qui è in ballo qualcosa di più, che riguarda l’aiuto che venga dato a una persona che deve suicidarsi. Sulle modalità di comportamento che possono essere punite penalmente, si giocherà la partita in Parlamento».

25 ottobre 2018