Carolina Morace: lo sport è rispetto delle regole

A colloquio con la ex ct della Nazionale femminile italiana, 500 gol e 12 scudetti. Le ragazze ai Mondiali? «Dobbiamo seguirle e non caricarle di troppa responsabilità»

La sua carriera si può condensare nei suoi 500 gol realizzati e nel fatto che, insieme a Milena Bertolini, ora ct della Nazionale, è l’unica donna in Italia a poter allenare una squadra di Serie A maschile. Parliamo di Carolina Morace, ex attaccante nella Nazionale femminile italiana (di cui è stata anche allenatrice dal 2000 al 2005), allenatrice del Milan femminile nella stagione appena conclusa.

C’è anche lei il 24 maggio in Aula Paolo VI per “Il calcio che amiamo”, il primo incontro rivolto al calcio, organizzato da “La Gazzetta dello Sport”, in collaborazione con il Miur, la Figc e la Lega Serie A. Il calcio viene analizzato attraverso tre temi: divertimento, educazione e inclusione davanti a seimila ragazzi delle scuole di Lazio e Abruzzo con i loro insegnanti e allenatori, campioni, dirigenti e giornalisti. Papa Francesco conclude la giornata. Per lui «il calcio è il gioco più bello del mondo». Ricorda don Bosco che creò gli oratori. «Da lì sono usciti tanti campioni. Dietro una palla che rotola c’è l’intera personalità di un ragazzo». Ma «non è più un gioco quando alcuni episodi ne macchiano la bellezza». Evidente il riferimento ai tanti episodi di violenza che turbano sia i campionati professionistici sia quelli delle serie minori, ultimo dei quali quello accaduto in Veneto nei giorni scorsi con le offese sessiste ad un arbitro donna in un torneo per giovanissimi.

Carolina Morace – che nella sua carriera ha vinto 12 scudetti, 2 Coppe Italia e una Supercoppa italiana, oltre ad essere stata 12 volte capocannoniere della Serie A – parla dell’educazione, affermando che «il calcio non è uno sport maschile: dipende da quale parte del mondo sei nato. Ci stiamo arrivando anche in Italia. È diverso l’approccio che donne e uomini hanno per la diversità delle loro nature. La donna ci vede di più l’amicizia e la condivisione. Ad alto livello poi c’è la competizione. Fare sport insieme, in alcuni anni della vita, è fondamentale».

«La famiglia è fondamentale – sottolinea Morace -. Io non ho trovato ostacoli. Occorreva studiare in famiglia per lavorare: mio fratello è architetto, io avvocato. È la cosa più facile conciliare studio e sport perché si praticano in orari diversi, in genere». Non sono mancate le difficoltà «come allenatrice e opinionista. Venivo rispettata, ma il problema è che a decidere è sempre un uomo e magari non ti conosce». Queste difficoltà in Italia nascono «perché siamo un popolo che giudica. Lo sport è rispetto delle regole. Occorre dare il massimo nello sport di squadra altrimenti un compagno dovrà fare anche la tua parte. Inoltre l’accettazione di non essere il più bravo, ma il tuo ruolo è lo stesso fondamentale».

Nel 1978 Carolina Morace esordisce in Nazionale sostituendo la capitana Betty Vignotto «che è la mia migliore amica». Il ricordo più bello come giocatrice è quello dei «4 gol a Wembley», il leggendario stadio londinese, in un’amichevole Inghilterra-Italia del 1990; come allenatrice «la vittoria della Concacaf di Messico 2010 (Coppa delle Nazioni Centro-Nord americane femminile) con la Nazionale femminile del Canada di cui sono stata ct. Mi ha arricchito molto. Tutti dovrebbero fare un’esperienza all’estero». Morace non tifa per nessuna squadra «ma nella mia famiglia sono tutti interisti. Mi piace il bel calcio a prescindere da chi gioca».

Intanto, è alle porte il mondiale di calcio femminile, in Francia, cui parteciperà anche l’Italia. Il 9 giugno l’esordio contro l’Australia. «Dobbiamo seguire le ragazze – afferma Morace – e non caricarle di troppa responsabilità».

27 maggio 2019