“Caritas in veritate”, l’analisi dell’economista Becchetti

L’intervista pubblicata su Roma Sette del 12 luglio 2009 dopo la diffusione dell’enciclica di Benedetto XVI

In occasione della pubblicazione della nuova enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, che tocca numerosi nodi critici legati all’economia e allo sviluppo, Roma Sette intervista Leonardo Becchetti, docente di Economia politica a Tor Vergata e presidente del Comitato Etico della Banca Popolare Etica.

Professore, cosa aggiunge quest’enciclica al Magistero sociale della Chiesa?

Il cambiamento riguarda l’individuazione degli ingredienti che in una società concorrono al bene comune, e degli attori che ne fanno parte. Per quel che riguarda questi ultimi, le parole di Benedetto XVI valorizzano i soggetti intermedi che favoriscono un’«economia di comunione», che s’impegnano nella costruzione di «filiere diverse» e nella realizzazione di valori «equi e solidali». Per la prima volta concetti come «dono», «gratuità», «reciprocità» non sono staccati dall’economia ma incarnati in essa, nel mercato, nelle politiche imprenditoriali delle imprese e nelle scelte che compiono i cittadini come consumatori.

Qualcuno ha parlato di un’enciclica «socialista». C’è davvero in trasparenza il volto di una Chiesa del post-mercato?

Si può scorgere semmai il volto di una Chiesa del «post capitalismo», dal momento che Benedetto XVI sottolinea con forza che il profitto non può assolutamente essere il valore a cui sacrificare tutti gli altri. parlare di socialismo significa applicare categorie vecchie e che nulla hanno a che fare con questo testo. Benedetto XVI dice che l’aumento delle diseguaglianze e la mancanza di regole rischia «l’erosione del capitale sociale», ma nell’affermarlo non guarda certo al socialismo, quanto piuttosto ad una terza forza: una maggiore democrazia nei rapporti economici. L’uomo azionista è un pezzo dell’uomo, non è l’uomo nella sua interezza; ciò a cui la «Caritas in veritate» mira è al contrario l’interesse della persona nel suo complesso.

Ci sono segni di un ritorno a quei tradizionali principi dell’etica sociale proposti con vigore da Papa Ratzinger?

Dal punto di vista delle enunciazioni, direi di sì. Sulla costruzione di regole vere e proprie nutro qualche dubbio in più. è una battaglia, quella in corso, che riguarda la capitalizzazione delle banche, la necessità che alcune transazioni finanziare avvengano sui mercati regolamentati e non al di fuori della vigilanza, del controllo. La strada è ancora lunga.

Il Papa sembra suggerire che il termine «terzo settore» ormai vada un po’ stretto a questa fetta consistente dell’economia. Quale novità si può scorgere?

Grande. Un tempo il terzo settore era visto come una riserva indiana in cui occuparsi di alcuni servizi di welfare. Oggi esistono imprese di questo comparto che creano profitti e sono nel mercato a pieno titolo, come appunto le banche etiche. L’impresa è cambiata da Dickens ad oggi e potrà cambiare ancora nel futuro alimentando le motivazioni intrinseche di una merce più etica.

Sul tema della cooperazione, Benedetto XVI suggerisce agli organismi internazionali impegnati nella cooperazione di «interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici» e rileva che «acanto ai macroprogetti servono i microprogetti». In un momento che ha visto svolgersi il G8, tutto ciò non suona come l’affermazione definitiva di una politica dei piccoli passi rispetto ai grandi e non sempre rispettati impegni degli Stati «che contano»?

Ci vogliono buone regole e buone istituzioni, ma si è pensato, e spesso si continua a pensare, che aumentare le quote destinate allo sviluppo dei Paesi poveri migliorasse i problemi. Non è così. Giustamente il Santo Padre ricorda che la quantità dell’utilizzo delle quote e la destinazione giocano un ruolo importante. Microproblemi come la produzione lontana dal luogo di distribuzione o gli alti costi dovuti alla mediazione di terzi si risolvono con microprogetti.

Per quanto riguarda la povertà, la «Caritas in veritate» contiene un’indicazione fondamentale: la soluzione sta nell’incontro tra due povertà. Quella materiale dei Paesi indigenti e quella spirituale del resto del mondo. Chi dà riscoprire il valore della gratuità. Il segreto è proprio curare parallelamente questi due disagi dei nostri tempi. (Francesco Lalli)

12 luglio 2009