Riabilitazione e rieducazione dei detenuti attraverso lo sport. Questo l’obiettivo del progetto “Lo sport che vogliamo”, avviato dall’Unione sportiva Acli in alcune carceri italiane già dal 2016, a cui era dedicata la tavola rotonda organizzata ieri, 11 aprile, a Roma. Una sorta di bilancio di questi primi due anni di lavoro, che hanno visto oltre 200 detenuti uomini e donne protagonisti di corsi di formazione, corsi di primo soccorso e defibrillazione obbligatoria, attività ludico-sportive, corsi di discipline sportive. Detenuti e detenute che hanno lavorato fianco a fianco all’organizzazione di tornei e incontri, insieme con il personale delle carceri di Bologna, Verona, Chiavari, Nuoro, Santa Maria Capua Vetere, Ascoli Piceno, Pescara, Velletri, Avellino, Benevento, Latina, Messina, Taranto, Agrigento, Ferrante Aporti (To). Accanto a loro, i circoli di zona dell’Us Acli, alcuni dei partonati e Caf locali, l’Enaip e il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, firmatario del protocollo d’intesa “Buone pratiche da cui ripartire” del 26 ottobre 2016.

Per il presidente nazionale delle Acli Roberto Rossini si stratta di un progetto «che porta nei territori la speranza di riabilitare e integrare i detenuti e le detenute arrivati al termine della pena, le loro famiglie e il personale delle carceri che ogni giorno è attore principale del percorso riabilitativo di queste persone. Creare nuovi strumenti d’integrazione- prosegue Rossini – è uno degli obiettivi principali delle Acli e anche grazie alle nostre Unioni sportive siamo impegnati a promuovere i valori della legalità e della cooperazione, contribuendo alla diffusione di una cultura del rispetto e dell’integrazione tra le persone a rischio di emarginazione».

12 aprile 2018