Carcere, l’appello da Rebibbia: mancano i medici

Lettera dalla redazione del giornale carcerario “Non tutti sanno” alle istituzioni. Tra il 60 e l’80% dei detenuti soffre almeno di una patologia; necessaria la prevenzione

«Caro dottore, cara dottoressa…»: comincia così l’appello rivolto ai medici e agli operatori sanitari che lavorano nelle carceri – e con essi a tutte le autorità sanitarie e carcerarie – sottoscritta dalla redazione del giornale carcerario di Rebibbia “Non tutti sanno” che sottolinea l’importanza della loro presenza e competenza per la salute e la dignità delle persone detenute. L’appello spiega come, nonostante le difficoltà del Sistema sanitario nazionale, la sanità pubblica sia l’unica opzione per i detenuti e quindi ogni ritardo, ogni mancanza, per loro non è aggirabile ed è una ulteriore sofferenza. «Siamo cittadini che hanno sbagliato e che per questo stanno scontando la loro condanna in una casa di reclusione, ma non per questo abbiamo perso il diritto alla salute e alla dignità di persona».

Nell’appello i detenuti lamentano la crescente carenza di medici e specialisti nelle carceri, a causa di pensionamenti non sostituiti e bandi deserti. Il testo evidenzia i molteplici problemi di salute affrontati dai detenuti, compresi quelli legati al disagio psicologico, all’attività fisica limitata, alla cattiva alimentazione e alla promiscuità: «Di carcere ci si ammala – dice il testo -. Uno studio recente attesta che una percentuale compresa tra il 60 e l’80% della popolazione detenuta è affetta da almeno una patologia. Voi lo sapete bene, meno l’opinione pubblica. C’è il disagio psicologico legato alla carcerazione che riguarda la stragrande maggioranza dei reclusi e che oltretutto abbassa le difese immunitarie, quando non sfocia in più gravi problemi di carattere psichiatrico», spiegano ancora. Nell’appello si rammenta che una maggiore prevenzione è necessaria, poiché le cure arrivano spesso quando la situazione clinica è già grave.

La lettera affronta anche le principali cause di patologie nelle carceri, come la dipendenza dalle sostanze e il disagio psichico, sottolineando la necessità di cure al di fuori delle strutture penitenziarie. In essa si esprime solidarietà verso le richieste degli operatori sanitari nelle carceri, sottolineando che la realtà del carcere è altrettanto impegnativa quanto quella di un Pronto soccorso, ma senza le relative indennità e opportunità di carriera. Si chiede ai medici di venire nelle carceri, di sostenere i giovani medici in formazione e di permettere ai medici in pensione di continuare a lavorare in queste strutture. I detenuti offrono anche delle soluzioni, pur temporanee, al problema e lanciano un appello: «Sia consentito al medico o specialista di prolungare la sua attività professionale nel carcere anche se in pensione e a chi opera nelle strutture pubbliche di poter dedicare del tempo ulteriore anche al servizio della popolazione reclusa». Il testo conclude affermando che i medici nelle carceri rappresentano un importante presidio umano e sottolinea quanto sia essenziale per i detenuti non sentirsi abbandonati e ricevere cure e sostegno medico, invocando maggiori risorse e specialisti per affrontare le patologie psichiatriche e la dipendenza nelle carceri.

6 novembre 2023