Carcere. Garante su 41-bis: «In alcune sezioni condizioni inaccettabili»

Pubblicato il Rapporto sul regime speciale. Quasi 750 i detenuti in tutta Italia. La risposta del Dap: «Misure adottate rispondono a finalità del provvedimento. “Carcere duro”: una definizione fuorviante»

«Vietare ogni altra misura che possa configurarsi come inutile aggiuntiva afflizione», anche se si tratta di regime speciale previsto dal 41-bis. A chiederlo, citando i pronunciamenti della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei diritti umani, è il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale Mauro Palma, che ha reso pubblico il Rapporto sul 41-bis in Italia: un’attenta analisi di tutte le sezioni speciali, condotta in due anni di visite, che ha portato alla luce alcune criticità.

In italia, sono 748 i detenuti in regime speciale previsto dall’articolo 41-bis, ma soltanto 363 a gennaio 2019 hanno una posizione giuridica definitiva, mentre 18 persone sono ricoverate nei reparti ospedalieri interni agli Istituti (a Parma e a Milano-Opera). Sono quasi tutti uomini: le donne, infatti, sono solo dieci contro i 738 uomini internati. Ai 748, inoltre, bisogna aggiungere i cinque internati in Casa di lavoro e sottoposti allo stesso regime. È la casa circondariale dell’Aquila ad avere il più alto numero di detenuti in 41-bis: sono 163, tra cui ci sono anche 10 donne. Segue la Casa di reclusione di Opera a Milano, con 97 detenuti (di cui 9 ricoverati nel reparto ospedaliero), poi la Casa circondariale di Bancali, in provincia di Sassari, dove ci sono 87 detenuti. A poca distanza dal carcere sardo, la Casa di reclusione di Spoleto che ospita 83 detenuti con il regime previsto dal 41-bis.

Secondo quanto spiega il Garante in una nota, le principali criticità riscontrate «riguardano in primo luogo le situazioni soggettive relative alle reiterate proroghe del regime e all’inserimento di taluni in “aree riservate” che finiscono per costituire un regime nel regime e sulle quali il Garante nazionale ha già espresso perplessità nelle sue passate Relazioni al Parlamento». Secondo il rapporto, infatti, sono 51 le persone detenute nelle cosiddette “aree riservate”. Inoltre, il Garante denuncia «le condizioni materiali in alcune sezioni» che secondo il rapporto «risultano inaccettabili, mentre in alcuni Istituti l’adozione di regole interne eccessivamente dettagliate su aspetti quotidiani vanno anche oltre le già minuziose prescrizioni della Circolare del 2 ottobre 2017, su cui peraltro il Garante nazionale aveva espresso a suo tempo alcune riserve».

Nel rapporto, il Garante sottolinea che «i luoghi di vita delle persone private della libertà devono essere configurati in maniera tale da non comportare una ricaduta sulle capacità psico-fisiche, giacché altrimenti la pena detentiva rischierebbe di assumere la connotazione di “pena corporale”, ovviamente espunta dal nostro come da tutti gli ordinamenti democratici». Tuttavia, aggiunge il Garante, nel corso delle visite effettuate sono state «riscontrate situazioni che poco si accordano con tali principi». Come, ad esempio, nella Casa circondariale di Cuneo, dove le finestre delle stanze detentive «riducono sensibilmente il passaggio di luce e di aria e non trovano nessuna ragionevole giustificazione». Tra le criticità, il Garante ha rilevato anche «la mancanza in taluni Istituti di un sistema di passaggio dei minori sotto i dodici anni – si legge nel rapporto -, che sono autorizzati a svolgere il colloquio oltre il vetro a diretto contatto con la persona detenuta. In Istituti come quelli dell’Aquila e di Tolmezzo il passaggio avviene attraverso una finestra: modalità poco rispettosa delle persone coinvolte».

Inoltre, il Garante nazionale «ritiene del tutto incompatibile con il diritto alla riservatezza e, nel contempo, all’esercizio pieno del diritto alla tutela della salute, la presenza di personale di Polizia penitenziaria durante le visite mediche come prassi ordinaria e non come conseguenza di una richiesta specifica del medico in un altrettanto specifico e circostanziato caso». Per il Garante, «la lesione grave del rapporto fiduciario tra medico e paziente, conseguente a tale consuetudine, costituisce una ulteriore ragione per fare ritenere le descritte modalità di sorveglianza assolutamente inaccettabili». Tra le richieste del Garante, c’è anche quella di «disattivare o quantomeno schermare le telecamere collocate nei locali da bagno delle camere detentive al fine di garantire la riservatezza nell’espletamento delle proprie funzioni fisiologiche».

Alle richieste di intervento proposte dal Garante ha risposto il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap), con un documento che affronta, punto per punto, le criticità riscontrate dal Garante. Secondo il Dap, «tutte le misure adottate nei confronti dei sottoposti a regime differenziato sono in rapporto di congruità alle finalità di ordine e sicurezza proprie del provvedimento ministeriale e aderenti alla ratio preventiva di recisione delle comunicazioni tra organizzazioni criminali e il soggetto recluso e fra solidali reclusi, oltre che ad evitare affiliazioni o la nascita di nuove alleanze in carcere, contemperando prevenzione e garanzia». Infine, si legge nel documento del Dap, «si ritiene che l’utilizzo del termine “carcere duro” sia una definizione fuorviante».

6 febbraio 2019