Caldo e cambiamenti climatici: l’urgenza di invertire la rotta
Pretendiamo sempre di più dalla natura, sapendo che non saremo mai in grado di restituire ciò che le abbiamo sottratto. L’illusione della logica mercantile
Questa estate così cocente dovrebbe indurci a un sano discernimento. Infatti, il nostro modello di sviluppo -dispiace doverlo scrivere – contraddice e compromette palesemente la salvaguardia della biosfera. Il colmo è che pretendiamo sempre di più dalla natura, sapendo bene che non saremo mai in grado di restituire ciò che le abbiamo sottratto. I cambiamenti climatici la dicono lunga, insolventi come siamo rispetto al cosiddetto debito ecologico. Tanto ciò che conta – dicono i benpensanti – è far crescere il Prodotto interno lordo, presunto barometro della felicità, illudendosi che l’equivalenza tra il livello economico e il grado di civiltà di qualsivoglia Paese certifichi tout court il benessere o meno di un popolo. L’esperienza dei nostri missionari/e, invece, è di segno contrario. I loro racconti spesso ci parlano di culture alternative, anni luce distanti dal nostro immaginario, che manifestano insofferenza e malessere di fronte, ad esempio, al crescente degrado ambientale planetario. Tra l’altro, per inciso, un continente come l’Africa contribuisce solo al 4% dell’attuale Global warming, anche se poi sono proprio gli africani a pagare il prezzo più alto in termini di cambiamenti climatici.
Qui da noi, l’illusione sempre in agguato, è quella di pensare che sia possibile risolvere i problemi con la solita logica mercantile, inventando nuove offerte. Ecco che allora cerchiamo gli idrocarburi nei posti più remoti – in fondo agli oceani, ai poli o nei deserti – e affidiamo con disinvoltura all’energia nucleare certezze che nessuno può dare. Questo approccio è certamente riduttivo perché per operare in modo intelligente, il maggiore rendimento – poco importa se tecnologico, industriale o commerciale – non può prescindere dai limiti imposti dalla precarietà della vita, e dunque anche dalla finitezza del patrimonio di risorse che l’umanità ha a disposizione. Questo significa che l’idea di efficienza che abbiamo sempre in mente noi occidentali deve essere coniugata con quella della sufficienza.
Servono tecnologie verdi del risparmio, del fotovoltaico, tecniche rigenerative, in grado di prefigurare un’economia post-fossile, non inquinante e rispettosa dell’ambiente. Non vi sono scappatoie se si considera che, secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni unite, gli eventi meteorologici, climatici e idrici estremi hanno causato quasi 12.000 (11.778) disastri dal 1970 al 2021. Le perdite economiche sono state di 4,3 trilioni di dollari (4.300 miliardi) e risultano in aumento. Il bilancio delle vittime è stato complessivamente di 2 milioni, con il 90% che si è verificato nei Paesi in via di sviluppo. Se le perdite economiche sono aumentate vertiginosamente, il miglioramento degli allarmi precoci e la gestione coordinata dei disastri hanno comunque ridotto drasticamente il bilancio delle vittime umane nell’ultimo mezzo secolo. I decessi registrati per il 2020 e il 2021 (22.608 in totale) infatti «indicano un’ulteriore diminuzione della mortalità rispetto alla media annuale del decennio precedente» ma «le perdite economiche sono aumentate, la maggior parte delle quali attribuite alla categoria delle tempeste».
Mentiremmo a noi stessi se ci convincessimo che sia possibile continuare come abbiamo fatto finora aggredendo e distruggendo la “casa comune” di cui parla profeticamente Papa Francesco nella sua enciclica Laudato Si’. La sfida è dichiaratamente cristiana, protesa all’affermazione della giustizia per tutti, nella consapevolezza, come diceva Gandhi, che «la Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di pochi». Si tratta di uno degli insegnamenti che riecheggia, a chiare lettere, nell’illuminato Magistero del pontefice, laddove egli invoca una strategia di sufficienza che sia espressione di un cambiamento culturale, a partire dal «pianto della Terra e dei poveri». Nell’enciclica, Papa Francesco baipassa i tradizionali concetti di progresso e sviluppo lineari – secondo cui ciò che conta è crescere – sottolineando la responsabilità di ogni essere umano verso gli altri, dunque l’interdipendenza tra le nazioni, con le conseguenti implicazioni etiche.
La natura, d’altronde, appartiene a tutti gli esseri viventi e pertanto non può essere considerata, com’è stato finora, una semplice risorsa. La posta in gioco è alta perché la limitazione delle risorse e la finitezza dell’ecosistema mettono radicalmente in discussione la vecchia metafora della «torta» legata al concetto di equità tra i popoli. Molti studiosi, anche di matrice cattolica, credevano che lo sviluppo consistesse nel far lievitare la torta, pensando che una volta cresciuta, tutti avrebbero ottenuto, in un modo o nell’altro, fette più grandi. La convinzione era dunque che la crescita da sola avrebbe reso di per sé meno importanti le politiche redistributive, riducendo l’esclusione sociale e il conseguente numero dei poveri. Ora, però, è chiaro che la torta non può crescere all’infinito e che le diseguaglianze si possono contrastare solo con la ricerca di una giusta misura, globalizzando i diritti. Anche questa è «Missione» per la causa del Regno di Dio.
1° agosto 2023