Bordate contro i quindicenni e adulti alle prese con i “meme”

Riflessioni a partire dai dati sul presunto fallimento della scuola e sui risultati dei ragazzi nella comprensione dei testi. Assenti le domande sul mondo dei “grandi”

Ieri, alla solita coda alla cassa del supermercato, ho letto un post gradevole di una scrittrice che più o meno diceva così: «Ho studiato tanto, in Italia e fuori, le letterature, le lingue e le discipline più nobili, ma quando mio figlio mi mostra un meme non ci capisco niente». Complici due ragazzetti davanti a me che erano entrati a comprare bibite e patatine, lì per lì mi è tornata in mente la rumorosa notizia di qualche tempo fa – e sulla quale mi ero ripromesso non avrei detto o scritto nulla – ovvero che «il 51% dei quindicenni in Italia non sarebbe in grado di capire un testo scritto». Se con pazienza altri nell’immediato hanno saputo smontare l’ennesima bordata facile a questi ragazzi, al fallimentare sistema scolastico che non li saprebbe educare, io appena letta la notizia ho solo pensato questo: «Chi le dice queste cose di sicuro non sa leggere nemmeno un meme».

Va da sé che temi importanti come l’educazione e le questioni critiche che la riguardano andrebbero tenuti al riparo dalla guerra dei luoghi comuni, fatto sta che certe retoriche generano oramai in me, come riflesso pavloviano, l’immediato guardare al mondo degli adulti dal quale arrivano certi moniti, perché la costante di certe analisi pare essere che questi ragazzi vengano da Marte nell’Eden, perché – fatta eccezione per la scuola – non viene messa a questione una, dico una, domanda sul mondo degli adulti che si trovano ad abitare. Oppure, al netto della stragrande maggioranza dei quindicenni che conosco che un testo scritto lo capiscono eccome – ma si sa, gli esempi reali non valgono – sbaglio io a non considerare l’arcadia culturale degli adulti che guardano a questi tapini adolescenti, alla nobiltà epistemica della società tutta che si nutre per strada, in televisione, sui social di alte performance conoscitive, di giudizi seri e ponderati su tutto, al mondo perfetto che noi adulti avremmo consegnato a questi ragazzi, il mondo di noi adulti perfetti, e non dei cretini che spesso mi pare invece di vedere.

Passino quindi come sogno quegli adulti colti incapaci di stampare un pdf perché non trovano il tasto (due giorni fa tra corridoi universitari), incapaci di gestire il proprio io ridicolizzandosi sui social sotto lo sguardo basito di quegli stessi quindicenni («ma che foto ha postato quella, ma non si rende conto prof?»), capaci però di dire che questi giovani «flessibili e creativi», vivaddio, se ne fregano del posto fisso e dunque viva la vita avventurosa in giro per il mondo liberi, senza niente, senza salario: adulti incapaci di leggere un meme, di leggere una storia, incapaci di leggere la storia, che è cambiata e quella sì, davvero non è più il Novecento.

Ma ecco che anche io sono in barricata e ne vorrei uscire immediatamente. Lo faccio pensando all’aneddoto che mi raccontò anni fa una collega. Aveva un figlio che a un certo punto, bambino, era finito a giocare non troppo convinto a calcio. Tanto troppo poco convinto che una volta, durante una partita, invece di seguire il gioco si era messo a rincorrere una lucertola. I genitori degli altri bambini, indignati, accaniti, avevano iniziato a riprenderlo animosamente, lui nemmeno li aveva sentiti. Oggi quel ragazzo è un brillante veterinario che lavora allo zooprofilattico della mia città; dubito che i figli di quei genitori siano diventati calciatori.

1° giugno 2022