Bomba a San Giovanni in Laterano: i ricordi del Vicariato

30 anni dopo, i testimoni dell’epoca raccontano la paura e la devastazione. «Pezzi di finestre conficcati sul soffitto, armadi come “bombardati”, le prese strappate dai muri»

Un boato. Una nuvola di fumo. Poi vetri e detriti ovunque. I danni alla basilica e al Palazzo del Vicariato. Carte sparse in tutto il piazzale. È lo scenario che apparve a piazza San Giovanni in Laterano agli occhi di forze dell’ordine e soccorritori nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1993. La mezzanotte era appena passata. Il gendarme vaticano Marcello Lombardo stava per riaprire il portone del Vicariato dopo il suo controllo interno di routine: in quel momento si scatenò l’inferno. «Il gendarme fu sbalzato a distanza dall’esplosione – ricorda Marco Marazzi, all’epoca portiere del Vicariato -. Chiamai subito i soccorsi. Poi anche io dovetti ricorrere al Pronto soccorso, mi diagnosticarono un trauma da shock esplosivo. Ricordo le saracinesche dei negozi divelte in tutta la piazza. E fu una fortuna che quella notte in piazza ci fosse poca gente. C’era un gruppo con i furgoncini che aveva l’abitudine di radunarsi qui davanti, e a volte arrivavano anche a 15 o 20».

Appena fuori dal portone, si apriva la profonda voragine lasciata dall’autobomba. Oltre il muro, nel Palazzo del Vicariato, le stanze dell’Ufficio amministrativo. «La mia scrivania era accanto alla finestra – rievoca Paolo Bencetti, per tanti anni dipendente dell’Ufficio -. Si ruppero i tubi, e l’acqua penetrò danneggiando i documenti». La devastazione era ovunque. «Pezzi di finestre – aggiunge Bencetti – erano conficcati sul soffitto, gli armadi erano come “bombardati”. Tutte le prese strappate dai muri. Per anni abbiamo ritrovato polvere di vetro nei raccoglitori dell’archivio». Tra i primi a camminare tra le macerie e i vetri Franco Pisanu (allora nella Segreteria generale) insieme al compianto monsignor Natalino Zagotto. «Eravamo a cena a piazza della Consolazione, a due passi dal Velabro – racconta -. Uscimmo poco prima dell’esplosione, e tornando in auto verso casa notammo tante vetture delle forze dell’ordine che si dirigevano a sirene spiegate verso San Giovanni. Andammo in Vicariato e fummo tra i primi ad entrare».

Sempre nella zona del Velabro ci fu chi visse doppiamente lo shock degli attentati. Luciano Montemauri, dell’Ufficio comunicazioni sociali, da alcuni anni in pensione, vive infatti a pochi passi dalla chiesa di San Giorgio colpita dalla seconda autobomba. «Con mia moglie – ricorda nitidamente – ero in automobile proveniente da Grosseto. Notammo una colonna di fumo che si levava sull’abitato davanti a casa nostra. A casa avevamo lasciato il figlio maggiore di 17 anni». Passando da San Giorgio, dette un’occhiata a ciò che restava: il portico era scomparso, nessuna colonna era rimasta in piedi. Anche qui si era aperta una voragine. «Ci precipitammo in casa, spalancata e vuota – dice ancora Montemauri -. Di mio figlio Paolo non trovammo traccia. Vetri infranti ovunque. Infine lo trovammo smarrito, e con forte emozione ci raccontò del terribile boato e dello sconquasso; in quel frangente non aveva pensato che a mettersi in salvo uscendo per strada. Poi venne la notizia che al Vicariato era successo altrettanto e mi precipitai subito là».

Al mattino, l’ingresso nel Palazzo. «La Polizia aveva chiuso la piazza e le strade adiacenti. La visione aveva dell’inverosimile: una voragine tra il portone e la basilica. Una marea di fogli bianchi copriva il cortile e il porticato. Tutti erano impegnati in una frenetica raccolta dei fogli: era l’archivio dell’amministrazione che lo spostamento d’aria dell’esplosione aveva portato all’esterno». Sconvolto dallo scenario del mattino anche monsignor Marco Frisina, all’epoca direttore dell’Ufficio liturgico diocesano: «Ciò che mi colpì di più, entrando in basilica, fu vedere l’aureola del Salvatore nelle decorazioni del soffitto che era caduta davanti all’altare, l’immagine più eloquente dell’oltraggio subìto. Nel Palazzo del Vicariato vidi i mobili del piano terra sminuzzati, accartocciati. Era impressionante. Era inimmaginabile allora che potesse succedere questo. Capii chiaramente che si trattava di una risposta al grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi contro la mafia».

19 luglio 2023