Birkenau, Modiano ai giovani: «Voi dovete evitare che questo orrore possa ripetersi»

Fa tappa al principale campo di sterminio del complesso di Auschwitz il viaggio della memoria dei 550 studenti delle scuole superiori del Lazio

Lascia che a parlare e ricordare per prime siano le sorelle Bucci, perché entrare nuovamente, seppure  dopo tanti altri viaggi, al campo di concentramento di Birkenau, per Samuel Modiano, sopravvissuto allo sterminio nazista, è troppo doloroso. Questa mattina, 15 aprile, insieme alle altre testimoni scampate all’orrore nazista, accompagna nella visita a quello che dal 1941 al 1945 fu il principale campo di sterminio del complesso concentrazionario di Auschwitz i 550 studenti delle scuole secondarie superiori della Regione Lazio che da ieri stanno prendendo parte al viaggio della memoria in Polonia.

Quando prende la parola è davanti al vagone commemorativo collocato esattamente nel punto in cui venivano fatti scendere i deportati ebrei per la selezione tra abili al lavoro e da subito condannati a morte. «Su questa rampa della morte – dice con voce lieve – ci rotolarono giù dal treno come sacchi di patate, con estrema barbarie, senza darci il tempo di aiutare gli anziani» e qui, «posso vederlo come se fosse ora – aggiunge -, pestarono mio padre di botte, una persona che non aveva colpa, solo perché si rifiutava di obbedire al loro ordine: lasciare andare con le donne mia sorella Lucia, sua figlia, di soli 16 anni». È lì che la comunità ebraica di Rodi cui Modiano apparteneva, viene smembrata: «Finché eravamo tutti e 2000 insieme eravamo sereni, sebbene ignari del nostro destino – continua -, ma poi l’80 per cento di noi fu spedito verso il forno crematorio, il secondo del campo e allora ci sentimmo davvero perduti».

Il percorso fino al luogo dove, nella camere a gas, i membri della sua comunità trovarono la morte, Samuel Modiano, per tutti i ragazzi Sami, lo compie a braccetto con due studentesse, Gaia e Francesca dell’Istituto Rossellini di Roma, perché «voi siete il futuro – dice loro con forza e con gli occhi velati – e dovete evitare che un domani tutto questo orrore possa ripetersi, avete capito?». Lo fa ogni volta che si rivolge ai giovani: si accerta che abbiano compreso, mette bene in luce il complemento di vocazione perché si sentano davvero interlocutori, non solo uditori.

Accade anche nella sala che negli anni della deportazione era destinata alla rasatura e disinfestazione di uomini e donne, prima della schedatura e del tatuaggio del numero sul braccio sinistro. «Dopo la pulizia, ci diedero, per coprire i nostri corpi nudi, solo un pigiama e un berretto a righe, di tela, con degli zoccoli di legno»: vestiario e calzature «non sempre della nostra taglia e quasi mai adatti alle temperature di stagione, specie d’inverno, quando i gradi erano anche 25 sotto lo zero».

L’ultimo ricordo della mattinata è il numero tatuato prima al padre e subito dopo a lui: Modiano sottolinea come «solo una cifra, una sola unità distingueva me e mio padre Giacobbe» ma, «vedete, il mio numero è ancora, quello di mio padre durò un mese» perché si suicidò dopo avere appreso della morte della figlia, «non potendo reggere un tale dolore».

15 aprile 2019