Biotestamento, don Angelelli (Cei): «Tutela i medici, non i malati»

Il direttore dell’Ufficio nazionale di pastorale della salute boccia la legge approvata dal Senato. Sulla stessa linea anche don Colombo (Cattolica) e i medici dell’Amci. La questione nutrizione e idratazione

«Non possiamo riconoscerci in una legge che tutela i medici sollevandoli da ogni responsabilità e le strutture sanitarie pubbliche, ma non i malati». È un giudizio senza appello, quello di don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale di pastorale della salute della Cei, sulla legge sul biotestamento approvata ieri, 14 dicembre, dal Senato. Altra, per don Angelelli, dovrebbe essere la priorità: la «tutela della persona nella sua interezza», nel momento della malattia e soprattutto al termine della vita.

Il direttore dell’Ufficio Cei di pastorale della salute definisce «necessaria» una legge sul tema. Il testo approvato tuttavia, sostiene, presenta «lacune» e incontrerà «difficoltà nell’applicazione». Specie per quanto riguarda l’interpretazione delle norme, su cui «si possono già ipotizzare dei conflitti». Tra i punti più insidiosi si profila proprio l’articolo che considera idratazione e nutrizione un trattamento sanitario: una questione nodale, soprattutto per gli ospedali cattolici. «Le strutture di cura cattoliche, che hanno come riferimento il Magistero della Chiesa e, quindi, la difesa della vita, non daranno seguito alla richiesta di un paziente di sospendere l’idratazione e la nutrizione artificiali senza motivazioni cliniche – prosegue il sacerdote -. La limitazione della libertà di coscienza e di obiezione del medico è legittima dal punto di vista costituzionale?», si chiede don Angelelli. Quindi la proposta di basare la relazione terapeutica di cura su tre elementi: «L’informazione corretta sulla patologia; la comunicazione chiara da parte del medico sulla situazione; la capacità empatica di accogliere il vissuto del malato per accompagnarlo nel cammino terapeutico».

Critica anche la voce di don Roberto Colombo, docente della facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita. Con la priorità data al disegno di legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, sostiene, «ci si è dimenticati di aiutare chi vuole vivere e sfuggire alla morte, come i profughi che lasciano i luoghi di violenza e di carestia per venire accolti nel nostro Paese; di aiutare le famiglie sempre più povere e i giovani disoccupati; di venire incontro ai malati che chiedono cure migliori e senza interruzione per le loro malattie. E di sostenere i medici e i ricercatori che studiano e applicano nuove terapie e trattamenti palliativi per alleviare le sofferenze dei malati gravi». Al contrario, «si è fornito uno strumento giuridico per aiutare chi vuole morire a fuggire dalla vita, obbligando medici e infermieri a mettersi al servizio di questo progetto che contrasta la loro vocazione professionale: quella di salvare la vita, non di dare la morte», conclude don Colombo.

Preoccupazione, oltre che contrarietà, nella nota diffusa dall’Associazione medici cattolici italiani (Amci), firmata dal presidente Filippo Maria Boscia e dal vice presidente Giuseppe Battimelli. Il timore principale è soprattutto quello «che il principio dell’indisponibilità della vita laicamente inteso da assoluto possa essere ora in qualche modo relativo, prevalendo un’autodeterminazione del paziente, svincolata da un proficuo rapporto di cura con il medico, come si evince anche dall’utilizzo del termine “disposizioni” al posto di “dichiarazioni”». ”, aggiungono. Anche l’obiezione di coscienza «non sembra esplicitamente enunciata nel testo», così come si evidenzia «l’esclusione della possibilità di sottrarsi all’applicazione della legge da parte di strutture sanitarie private accreditate che hanno un codice etico difforme dai principi della legge stessa, costringendole a un’obbligatorietà che appare francamente incostituzionale», sottolineano i medici cattolici.

Ancora, nel comunicato si parla di «notevole difficoltà» a proposito della definizione di idratazione e alimentazione artificiale come «trattamenti sanitari che si possono rifiutare o sospendere sempre e comunque e senza giustificazione alcuna, non tenendo conto delle condizioni cliniche dell’ammalato e se risultino utili ai benefici attesi». L’invito dunque rivolto dall’Amci alla classe medica italiana, «distintasi per generazioni e generazioni per una peculiare sensibilità umana, scientifica ed etica», è a rinnovare l’impegno «riaffermando la “prossimità responsabile” del Buon Samaritano che è quella di accompagnamento, empatia e di non abbandono dell’uomo fragile e ammalato».

15 dicembre 2017