Benedetto XVI, l’amore alla Chiesa e l’amicizia con Papa Wojtyla

Dall’annuncio della rinuncia al soglio di Pietro alla canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II: alcune immagini di un pontificato durato quasi 8 anni

C’è una data che resterà indelebile nella storia della Chiesa, nella vicenda personale del Papa Emerito Benedetto XVI e nella memoria di chi ha vissuto quel giorno. È il 27 aprile 2014. Joseph Ratzinger non era più il sommo pontefice dal 28 febbraio dell’anno precedente. Aveva annunciato la sua rinuncia durante il concistoro dell’11 febbraio perché «pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». Un annuncio che aveva sorpreso il mondo.

Quella mattina di fine aprile, seconda domenica di Pasqua, festa della Divina Misericordia, piazza San Pietro offriva una visione grandiosa, gremita com’era fin oltre il colonnato, con circa 800mila fedeli presenti e due miliardi di persone collegate da tutto il mondo. L’occasione era la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Prima della solenne celebrazione, un applauso caldo e affettuoso aveva accolto il Papa emerito al suo ingresso sul sagrato. E poi era stato ripetuto alto, fragoroso e prolungato quando il pontefice regnante, Papa Francesco, si era fermato ad abbracciare il suo predecessore. In maniera singolare e probabilmente irripetibile, in quel momento erano presenti nella piazza quattro successori di Pietro. Impossibile trattenere la commozione per chi ha avuto la fortuna (o meglio, la grazia) di assistere a un evento in cui il mondo intero ha potuto vedere concretamente l’unità della Chiesa.

Già, la Chiesa. È stata la grande passione di Ratzinger. Un uomo totalmente di Chiesa perché totalmente di Dio. Un carattere completamente diverso sia da quello di san Giovanni Paolo II che da quello di Francesco. Ma solo apparentemente distaccato. Chi lo conosceva, lo descrive come un uomo mite, di profonda sensibilità, ben lontano dallo stereotipo che tanto piaceva ai suoi detrattori. Il gesto della rinuncia (l’ultimo Papa a farlo era stato Gregorio XII nel 1415 all’epoca dello scisma d’Occidente ma erano decisamente altri tempi) è stato anche frutto di questa sua sensibilità, sicuramente in grande spirito di umiltà e di servizio alla Chiesa. Si può tranquillamente affermare che dopo Ratzinger ogni pontefice sarà “libero” di scegliere come comportarsi: seguire la strada di Giovanni Paolo II e rimanere fino in fondo sul soglio di Pietro, nonostante dolori e malattie, oppure quella aperta da Benedetto XVI e rinunciare in nome di un bene superiore. Solo la Storia saprà valutare adeguatamente la grandezza di quel gesto coraggioso.

Quello che già oggi va riconosciuto al Papa Emerito è l’eroico esempio di umiltà. Già all’annuncio della sua rinuncia disse ai cardinali: «Tra voi c’è anche il futuro Papa a cui prometto la mia incondizionata riverenza e obbedienza». Parole ripetute direttamente al telefono la sera del 13 marzo 2013 a Francesco, appena eletto. Come pure va dato atto a Benedetto di aver mantenuto la totale riservatezza dopo la rinuncia, dedicandosi alla preghiera, nel silenzio, salvo rare eccezioni e sempre in unione con il successore.

Sono tanti i momenti importanti di un pontificato durato quasi otto anni. Non sono mancati neppure quelli difficili, gli attacchi e le critiche spesso gratuite (basti ricordare le polemiche seguite al discorso di Ratisbona o all’opposizione di un gruppetto di docenti che gli impedirono di inaugurare l’anno accademico nel 2008 alla Sapienza di Roma). Ma prima dell’elezione al soglio pontificio, bisogna ricordare la strettissima collaborazione tra Joseph Ratzinger e Giovanni Paolo II. Una collaborazione che si può definire tranquillamente amicizia, per la straordinaria sintonia esistente tra loro. E che si può sintetizzare in due immagini fortissime e commoventi. La prima è la Via Crucis del 25 marzo 2005, con le meditazioni scritte dall’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e con il Papa, ormai alla fine della sua vita, costretto a seguire il rito in tv. Celebre in quella circostanza la denuncia dei mali della Chiesa: «Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa!». La seconda è di pochi giorni più tardi, l’8 aprile, quando Ratzinger in qualità di decano del Sacro Collegio presiedette le esequie di Giovanni Paolo II davanti a miliardi di persone collegate da tutto il mondo.

È sembrato quasi naturale che il conclave eleggesse come successore del Santo Papa polacco il cardinale tedesco, «un semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore», come ebbe a dire nella sua apparizione dalla loggia di San Pietro dopo l’elezione, avvenuta il 19 aprile al quarto scrutinio. Un ministero petrino caratterizzato da una stella polare: la fede da riproporre al popolo cristiano. L’aveva indicata nell’omelia della Messa pro eligendo pontifice in apertura di conclave: «Guidare il gregge di Cristo» verso una «fede adulta», malgrado per la mentalità contemporanea «avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, venga spesso etichettato come fondamentalismo». Un fil rouge che si è snodato fino alla fine: non a caso nell’ottobre 2012 Benedetto XVI indisse l’Anno della Fede, durante il quale poi annunciò la sua rinuncia.

Un altro momento impresso nel cuore di quanti vi presero parte e dell’immaginario collettivo è la Giornata mondiale della Gioventù del 2011 a Madrid, con migliaia di ragazzi stretti intorno al successore di Pietro nonostante la pioggia battente. Anche in quell’occasione Benedetto parlò di fede, che «non si oppone ai vostri ideali più alti, al contrario, li eleva e li perfeziona. Cari giovani, non conformatevi con qualcosa che sia meno della Verità e dell’Amore, non conformatevi con qualcuno che sia meno di Cristo». E prima di congedarsi, aggiunse: «Abbiamo vissuto un’avventura insieme. Saldi nella fede in Cristo, avete resistito alla pioggia! Prima di lasciarvi, desidero augurare a tutti la buona notte. Riposate bene. Grazie per il sacrificio che state facendo e che, non ho dubbi, offrirete generosamente al Signore. Vi ringrazio per il meraviglioso esempio che avete dato. Come questa notte, con Cristo potrete sempre affrontare le prove della vita».

Ma è senza dubbio lo scorcio finale del pontificato a essere rimasto nei cuori dei cristiani di tutto il mondo. Dall’11 febbraio, giorno dell’annuncio della rinuncia, al 28 febbraio, quando lasciò il Vaticano in elicottero per ritirarsi a Castelgandolfo, tra le lacrime a stento trattenute dei suoi collaboratori più fedeli (Gaenswein e Xuereb su tutti), fu un susseguirsi di attestati di affetto e vicinanza a Benedetto XVI. Fino all’udienza generale del 27 febbraio. «Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa mia ultima udienza generale – esordì il pontefice – Grazie di cuore! Sono veramente commosso! E vedo la Chiesa viva!». Non era l’unico ad essere commosso. In una piazza San Pietro baciata da un insolito sole invernale erano molti a piangere per un commiato davvero sentito. Fu un discorso di saluti e di ringraziamenti, in un clima familiare, di grande serenità e fiducia nel Signore. In fondo, è proprio questa l’eredità di Benedetto XVI. Un grande amore alla Chiesa, in spirito di servizio, e una fede profonda, con lo sguardo fisso a Cristo.

31 dicembre 2022