Bassetti: «Disarmare ogni uso blasfemo del nome di Dio in odio al fratello»

Il presidente della Cei ha aperto al Castello Svevo di Bari l'incontro "Mediterraneo, frontiera di pace", promosso dalla Chiesa italiana. «L'alternativa alla pace è il caos incontrollato. Basta alla politica fatta sul sangue dei popoli»

«Siamo qui per riscoprire il significato di una comune appartenenza al Mediterraneo, quindi per attingere alla bellezza e alla forza della comunione fraterna, e per mettere a fuoco una profezia di unità». Il cardinale presidente della Cei Gualtiero Bassetti ha aperto nel pomeriggio di ieri, 19 febbraio, al Castello Svevo di Bari l’incontro “Mediterraneo, frontiera di pace”, promosso dalla Chiesa italiana, al quale partecipano 58 vescovi cattolici delegati arrivati da 20 Paesi che affacciano sul Mare Nostrum. «Il Mediterraneo non è solo bellezza generata dall’incontro delle diversità ma anche violenza che esplode a causa dell’incapacità di comporre i giochi  di potere, gli interessi contrapposti e le paure che queste stesse diversità possono alimentare», ha affermato il cardinale, secondo il quale «in prossimità del porto e della cattedrale – quindi del mare e della terra – questo castello testimonia che il Vangelo non giunge da alcuna parte se non incontrando la vita di persone concrete, col loro vissuto di lingue e culture, di attese e di speranze». Quindi il monito: «Nessuna cattedrale esisterebbe senza “porti”, nemmeno nell’Europa continentale. Tutte portano i segni e sono il frutto delle diverse modalità di comprendere, incarnare e trasmettere la fede in Gesù. Il Vangelo stesso, la vita cristiana vissuta fra i popoli, l’arte, la liturgia, la teologia hanno costituito, costituiscono e possono costituire ancora, luogo d’incontro e di sintesi, di genio e di creatività culturale, a beneficio di tutti».

Il presidente della Cei si è soffermato quindi sulla «peculiarità di questo ritrovarci»: né un convegno né una conferenza, quanto piuttosto l’espressione del «nostro modo più autentico di vivere ed essere Chiesa, che dà voce alle difficoltà e alle domande dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, in un momento che per tanti di loro è davvero drammatico». Un incontro fraterno, «tappa di un percorso più ampio». Quindi Bassetti ha sintetizzato in una serie di imperativi la «vocazione comune» delle Chiese del Mediterraneo: anzitutto, «essere Chiese che ritornano costantemente alle sorgenti della fede per trasmettere alle future generazioni mediterranee la bellezza e la gioia del Risorto»;  ancora, «essere Chiese delle beatitudini per contribuire a far germinare, con la ricchezza delle nostre molteplici tradizioni, la cultura nuova del Mediterraneo che non può non essere cultura dell’incontro e dell’accoglienza, pena il disordine incontrollato e la distruzione di intere civiltà; essere Chiese della profezia contro ogni sistema di potere e di arricchimento che genera iniquità, oppressione, guerre, crimini contro l’umanità, indifferenza, paure, chiusure». Da ultimo, «essere Chiese dei “martiri mediterranei” che sanno riconoscere i segni dei tempi e che sono capaci di dialogo per “disarmare” ogni uso blasfemo del nome di Dio in odio al fratello». Una vocazione comune, dunque, da vivere in un contesto di «sofferenza, ingiustizia, indifferenza». Eppure, ha rimarcato il porporato, «la cultura dell’incontro e della pace nel Mediterraneo non è un buon proposito per ingenui ma l’unica possibilità realistica di benessere e prosperità dei nostri popoli, l’unica via che ne assicura realmente la sopravvivenza». Una tesi, questa, mutuata dal pensiero di Giorgio La Pira. «È la guerra a essere una tremenda anti-utopia e a essere una tragica farsa sulla pelle dei poveri. Nella complessità delle relazioni internazionali la competizione fra le diverse potenze, che si riflette negli scenari di guerra locali, non può essere decisa con la forza delle armi, pena la distruzione del pianeta». Per i popoli di tutta la terra e per quelli mediterranei in particolare, «non c’è alternativa alla risoluzione pacifica delle controversie e alla collaborazione. La solidarietà fra i popoli e la capacità di darsi regole comuni per salvaguardare e promuovere la pace, l’ambiente, la dignità del lavoro, la salute (a qualsiasi latitudine e longitudine si nasca!) non sono sogni – ha incalzato Bassetti – ma la condizione per garantire la sopravvivenza ordinata e pacifica del pianeta. Sono obiettivi a portata dell’umanità contemporanea e sono nel contempo il riflesso della verità profonda dell’uomo che Gesù Cristo ha rivelato e salvato».

Soprattutto nel contesto mediterraneo allora, «dove convergono le tensioni e le contrapposizioni del mondo intero, l’alternativa alla pace è il rischio di un caos incontrollato, ed è facile riconoscere che se il limite non si è, finora, varcato, lo si deve agli accordi che vengono trovati tra gli attori internazionali, non sempre alla luce del sole, anche quando si è trattato di contrastare le organizzazioni terroristiche e il sedicente stato islamico». Nel frattempo però «gli scontri militari procurano morte e sofferenze indicibili alle popolazioni inermi e la comunità internazionale e le organizzazioni sovranazionali gestiscono a fatica le crisi umanitarie che ne derivano, tollerando spesso violazioni ai diritti umani. Dobbiamo dire basta a questa politica fatta sul sangue dei popoli!». Le crisi internazionali «siano affrontate e risolte nel quadro del diritto, del bene comune e di una più forte, più funzionale e incisiva azione delle Nazioni Unite».

Nell’analisi del presidente Cei, «il muro che divide i popoli è soprattutto un muro economico e di interessi. C’è una frontiera invisibile nel Mediterraneo che divide i popoli della miseria da quelli del benessere, e non conta se al di qua e al di là di questa frontiera ci sono minoranze ricchissime e crescenti impoverimenti». Per Bassetti, «è stata tradita la promessa di sviluppo dei popoli usciti dagli iniqui sistemi coloniali del secolo scorso, sono ridotte le capacità degli Stati più ricchi di condurre politiche sociali inclusive, c’è un nesso inscindibile fra la povertà e l’instabilità dell’area mediterranea». Proprio per questo, «non potrà esserci pace senza miglioramento di vita nelle aree depresse del Mediterraneo e nell’Africa sub-sahariana; non potrà esserci sviluppo (ecologicamente sostenibile) senza che cambino le regole che sottostanno a una economia dell’iniquità che uccide. Non potrà esserci arresto delle crisi migratorie e umanitarie senza che, oltre alla cessazione delle guerre, sia restituito a ogni uomo e a ogni donna, cittadini del mondo, il diritto di restare nella propria patria a costruire un futuro migliore per sé e per la propria famiglia – ha continuato il porporato -, e senza che a questo diritto sia affiancato anche l’altro: quello di spostarsi! Liberi di partire, liberi di restare è la linea che come Conferenza episcopale italiana ci siamo dati nella nostra azione solidale nei confronti dei popoli impoveriti del sud del mondo».

Anche un “mea culpa”, nel discorso di Bassetti. «Le nostre divisioni ecclesiali hanno ricalcato e rinforzato le divisioni culturali, politiche e militari dei popoli mediterranei», ha detto ai vescovi: «Riconoscere il peccato della divisione della Chiesa ci aiuta oggi a capire la grazia che ci è stata fatta col Concilio Ecumenico Vaticano II». La Chiesa, per il cardinale, sta «rovesciando le crociate – come diceva la Pira – e contrastando ogni mentalità del passato proprio perché ha imparato a valorizzare le sue plurali tradizioni, partecipa con convinzione al cammino ecumenico con la testimonianza ecumenica della carità e della giustizia, pratica e propone convintamente il dialogo interreligioso». E ancora: «Le nostre Chiese non sono diverse solo per le antiche tradizioni che le sostengono e per la diversità delle culture in cui sono chiamate a portare l’annuncio del Vangelo ma anche per le condizioni concrete in cui vivono. Tutti però ci troviamo davanti alla sfida entusiasmante della trasmissione del Vangelo». Nel Mediterraneo infatti ci sono Chiese «abituate a essere presenza minoritaria, che conoscono un incremento di fedeli connesso al fenomeno delle migrazioni. Ci sono Chiese che sussistono come minoranze, piccolo seme, in mezzo a popolazioni islamiche. È soprattutto a queste Chiese, alla loro mediazione e al sangue dei loro martiri, che dobbiamo l’anticipazione e la ricezione teologicamente e spiritualmente più profonda della dottrina conciliare sul dialogo interreligioso con l’Islam», l’omaggio di Bassetti. Fra queste, «vi sono Chiese che a causa dei rivolgimenti geopolitici degli ultimi 30 anni (con le infinite guerre connesse) hanno conosciuto e stanno conoscendo sfollamenti e migrazioni, e i cristiani subiscono persecuzioni e minacce con la conseguenza che la loro presenza millenaria rischia in più parti di scomparire».

Inevitabile il riferimento al documento sulla fratellanza umana firmato da Papa Francesco e dal grande Imam di al-Azhar ma nel discorso di Bassetti ha trovato spazio anche il testamento del beato Christian De Chergé, martire in Algeria. «La mia morte evidentemente sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista: “dica adesso quello che ne pensa!”. Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con Lui i suoi figli dell’Islam, così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo. Frutto della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre quella di stabilire la comunione, giocando con le differenze».

20 febbraio 2020