Bachelet: memoria e perdono

Intervista a Giovanni, il figlio del magistrato ucciso dalle Br nel 1980, protagonista di un incontro a San Roberto Bellarmino. Ai funerali, la preghiera per gli assassini

Sono passati 44 anni dall’assassinio di Vittorio Bachelet, all’epoca vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, caduto alla Sapienza di Roma sotto i colpi di pistola dei brigatisti rossi. Questa sera, lunedì 12, la comunità di San Roberto Bellarmino lo ricorda nell’anniversario dell’omicidio con una Messa alle 19 seguita dall’incontro “Memoria e perdono”, che vedrà la partecipazione del presidente nazionale dell’Azione cattolica Giuseppe Notarstefano, del giornalista di Avvenire Angelo Picariello e del figlio di Bachelet, Giovanni, che ha accettato di rispondere alle domande di Roma Sette.

Partiamo dalla memoria: chi era Vittorio Bachelet? Sono passati tanti anni, eppure il suo ricordo è ancora vivo.
In effetti è molto bello che ci sia ancora tanta gente che ha voglia di ricordarlo. Ci sono stati eventi dell’Azione cattolica nazionale, alla Domus Mariae, e alla facoltà di Scienze politiche della Sapienza, dove papà insegnava ed è stato ucciso. Oggi il Csm, che ha appena deciso di intitolargli Palazzo dei Marescialli, ospita  un convegno con consiglieri ed ex consiglieri. Sono le tre istituzioni in cui mio padre si è impegnato tanto e che hanno un valore importante ancora oggi. Siamo molto commossi e grati al Signore di averci dato questo papà che forse quando eravamo molto giovani ha dedicato tanto tempo agli altri ma ci è stato comunque sempre vicino. E poi c’è questa bella iniziativa del parroco di San Roberto Bellarmino (don Antonio Magnotta, ndr), la chiesa dove furono celebrati i funerali di papà, anche se allora era retta da Gesuiti.

Proprio durante i funerali di suo padre lei pronunciò una preghiera, tra gli altri, per chi ricopriva ruoli istituzionali ma anche per gli assassini. Li ha perdonati?
Penso che quella preghiera, che scrivemmo insieme in famiglia, fosse per chiedere al Signore di farci portatori del suo perdono. I farisei si meravigliavano perché Gesù perdonava i peccati: ecco, anche i cristiani possono portare il perdono agli altri perché ne abbiamo bisogno noi per primi, sappiamo di avere la “coda di paglia”! Dal punto di vista storico, ci sono le responsabilità penali e politiche che per fortuna sono finite. Non era un tempo molto bello. Dal punto di vista del cuore, abbiamo cercato di applicare il fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te, anche di fronte a un grande male. Del resto, gli autori materiali del delitto sono tutti liberi e questo è buono perché dimostra quanto fosse falsa la loro teoria di uno Stato nazista. Sono stati in carcere, hanno avuto tempo di ricredersi. Lo Stato democratico ha permesso loro di rifarsi una vita. Certo, si può fare sempre meglio, la situazione carceraria è quella che è, ma nel loro caso è stato reale che la pena non sia stata vendicativa.

Il perdono può passare anche attraverso la giustizia riparativa? Penso per esempio ai ripetuti incontri tra Agnese, la figlia di Aldo Moro che fu grande amico di suo padre, e l’ex brigatista Adriana Faranda.
Penso che la giustizia riparativa abbia un difetto: non sempre è possibile. La vittima può essere lieta di partecipare ma ha il diritto di non voler vedere chi gli ha causato tanto male. Papà aveva due fratelli gesuiti. Zio Adolfo aveva 15 anni di più e dopo l’omicidio si dedicò anima e corpo a essere pastore di carcerati, quelli delle carceri speciali, terroristi di destra e di sinistra. Ma una volta o due l’ho dovuto fermare. Come nel caso della madre di un ragazzo di destra ucciso a sprangate a Milano che non voleva incontrare gli assassini del figlio. Come cristiani possiamo partecipare a queste iniziative se le istituzioni le facilitano ma nessuno può imporle. Un altro rischio è dare l’impressione di una certa simmetria mentre vittime e colpevoli non sono sullo stesso piano. Sono problemi reali che abbiamo provato ad affrontare anche durante la mia esperienza parlamentare.

12 febbraio 2024