“Baby”, un ritratto che «non ci mancava»

L’Aiart interviene sulla serie televisiva Netlix in programma dal 30 novembre, ispirata a un fatto di cronaca giudiziaria del 2015: la vicenda delle baby prostitute dei Parioli. Il presidente Baggio: «Un contributo responsabile?»

Sei episodi, opera di 4 sceneggiatori, sotto la direzione di Andrea de Sica e Anna Negri. La vicenda del giro di prostituzione minorile che ha sconvolto i Parioli e l’intera città di Roma diventa una serie tv targata Netflix: “Baby”, la seconda serie italiana prodotta dal colosso dello streaming, ambientata nell’immaginario Liceo Collodi, che andrà in onda in 190 Paesi. Un’operazione che «rimetterà in scena un drammatico fatto di cronaca sfociato in un processo penale», che ha visto al centro due ragazzine di 14 e 15 anni, che si prostituivano in cambio di soldi, ricariche telefoniche e regali, commentano dall’Aiart, l’associazione spettatori di ispirazione cattolica.

«Raccontiamo storie di ragazzi alla disperata ricerca della loro identità e dell’amore – afferma il regista Andrea De Sica -. L’aspetto della prostituzione c’è, ma non ci sarà nulla di sensazionalistico, anzi. C’è un ribaltamento di ruoli tra giovani e adulti». Da parte loro gli autori – il collettivo Grams, tutti sotto ai 30 anni – spiegano di voler raccontare «la vita di alcuni adolescenti e la loro ricerca di “relazioni autentiche” in un ambiente sociale degradato dove gli adulti giocano a fare i bambini e i bambini giocano a fare gli adulti». Tutto «senza moralismi», asseriscono.

Rassicurazioni che non bastano all’Aiart, che si chiede se «in tempi di emergenza “sexting” nelle scuole e di una crescente e documentata difficoltà dei ragazzi e delle ragazze a percepire con chiarezza il valore del proprio corpo, una serie come questa  può essere  un contributo responsabile». Per il presidente nazionale Aiart Giovanni Baggio, «il vero pericolo è quello dell’omologazione e dell’assuefazione a una realtà inconsistente proposta da una tv indifferenziata e proiettata su logiche esclusivamente commerciali». Proprio per questo «chiediamo alle autorità preposte di valutare i danni che questo contenuto potrà arrecare all’equilibrio di quei ragazzi e ragazze, che sono il pubblico a cui Netflix si rivolge, perché cedere alla logica del tutto è possibile significa arrendersi all’irresponsabilità di una tv che procede senza filtri».

29 novembre 2018