Una «netta critica» arriva dalla Consulta nazionale antiusura alla proposta del governo a Regioni e Comuni per una regolarizzazione del gioco d’azzardo sul territorio. L’organismo denuncia «passaggi anche inquietanti» in una bozza di «accordo», tenuta «riservata» all’opinione pubblica. Il primo punto della contestazione: equivocando sull’espressione “riduzione dell’offerta di gioco”, «si confonde l’esigenza di un ritorno indietro da un’inflazione spaventosa di azzardo con la ipotizzata mera “sostituzione” degli strumenti tecnologici (slot machine) e la loro concentrazione in cosiddette “sale di tipo A”». In pratica, è il commento della Consulta, «promuoverebbero degli esercizi commerciali esclusivamente o prevalentemente dedicati al funzionamento di slot machine (insieme ad altri “giochi”)».

Secondo l’organismo antiusura infatti «ridurre il numero di apparecchiature non equivale a ridimensionare la quantità di gioco d’azzardo: basta attivare maggiori prestazioni con nuovi strumenti (nella bozza circolata si dice “upgrade tecnologico”) e i livelli conseguiti con 397.211 slot machine (attive al novembre scorso) si possono anche superare con le 264.674 “contingentabili” a seguito di un accordo in Conferenza unificata». Insomma, «un rimedio peggiore del male: gli esercizi “di tipo A” potranno offrire azzardo anche accanto a luoghi sensibili e ultrasensibili», come scuole, ospedali, uffici postali, oratori, chiese, centri giovanili, giardini pubblici con attrezzature di gioco per bambini. E oltretutto «i Comuni, notiamo con sconcerto, non potranno più ostacolare tale deriva».

Con 18mila locali siffatti e con gli altri che offrono le restanti e numerose tipologie di gioco (scommesse, altri apparecchi da puntata di azzardo, gratta e vinci, 10 e lotto, superenalotto…), avverta la Consulta, «l’offerta di gioco d’azzardo continuerà a gettare la sua rete capillarmente, con invariata aggressività, sfuggendo in larga parte ai controlli. Ma a peggiorare la situazione, i Comuni non potranno intervenire neppure dinnanzi a gravi effetti sulla salute, sulla socialità, sulle fasce deboli della popolazione».

Da ultimo, la denuncia della Consulta punta il dito verso «il cambiamento di terminologia». In origine, ricordano dall’antiusura, «furono chiamati (legge finanziaria 2003) “videogiochi a gettone”, poi li si denominò “apparecchi da intrattenimento” e li si commercializzò come “newslot”». Ora, nella bozza si ricorre a un acronimo inglese: “Awp”, vale a dire “Amusement with prize“, “divertimento con premio”, che evoca soavità, ricreazione e, dunque, innocuità. Come sempre l’impostura viaggia sulle parole contraffatte. Anche in spregio alla corretta scrittura in italiano comprensibile di leggi e regolamenti».

2 febbraio 2017