Azzardo, Caritas Roma: «Sulle slot machine al governo manca coraggio»

Preoccupazione da parte dell’organismo diocesano per la proposta in materia di regolamentazione preentata alla conferenza Stato-Regioni

Preoccupazione da parte dell’organismo diocesano per la proposta in materia di regolamentazione preentata alla conferenza Stato-Regioni

Il direttore della Caritas diocesana di Roma monsignor Enrico Feroci lo afferma senza mezzi termini: «L’azzardo non è un’industria, non è una fonte di entrata per lo Stato, non produce sviluppo per il paese. L’azzardo, in tutte le sue forme anche quelle più tradizionali e popolari, è invece il fattore che più contribuisce a una cultura del “tutto e subito”, a una vita fatta di scorciatoie, a un’economica che continua a vivere sulle spalle delle generazioni future». Nasce proprio da qui l’insoddisfazione dell’organismo diocesano per la proposta di riordino del sistema slot-machine presentata dal governo alla Conferenza Stato-Regioni lo scorso 2 febbraio e resa pubblica ieri, 7 febbraio, da Pier Paolo Baretta, sottosegretario al ministero dell’Economia.

Nelle parole di Feroci c’è tutta la preoccupazione per una proposta che «sembra orientata maggiormente a venire incontro alle richieste delle potenti lobby del settore piuttosto che a regolamentare le slot-machine in un quadro organico di tutti i giochi d’azzardo, a cominciare dalle scommesse sportive e dalla pubblicità sempre più martellante». Regolamentare questo settore, osserva, «vuol dire avere a cuore i giovani, che le lobby vedono come mercato in espansione; vuol dire ridurre l’offerta e la pubblicità dei giochi; vuol dire fare scelte coraggiose e nette, come è stato fatto con l’industria del tabacco».

Analizzando nel merito la proposta del governo, dalla Caritas evidenziano come con l’espressione «riduzione dell’offerta di gioco» si voglia mascherare una mera «sostituzione» degli strumenti tecnologici (slot machine) e la loro concentrazione in cosiddette “sale di tipo A”. In pratica, si promuoverebbero degli esercizi commerciali esclusivamente o prevalentemente dedicati al funzionamento di slot machine (insieme ad altri “giochi”). Una sorta di “casinò della porta accanto”. «A Roma – continua il direttore Caritas -,  dove esiste la più grande sala slot d’Europa con oltre 900 postazioni e dove questi mini-casinò si sono concentrati nelle periferie, è dimostrato che ridurre il numero di apparecchiature e concentrarle in locali appositi non equivale a ridimensionare la quantità di gioco d’azzardo». Non solo. La proposta prevede di attivare maggiori prestazioni con nuovi strumenti (definiti «upgrade tecnologico») e i livelli conseguiti con 397.211 slot machine (attive al novembre scorso) si possono anche superare con le 264.674 “contingentabili” a seguito di un accordo in Conferenza unificata.

Ancora, le nuove sale sarebbero svincolate dalla potestà regolamentare dei Comuni e da quella legislativa delle Regioni, «le uniche pratiche di controllo che finora hanno funzionato in più aree del Paese, grazie alla collaborazione tra le amministrazioni e le associazioni di volontariato che da anni sono attive contro questo fenomeno di sciacallaggio alle spalle dei poveri», denunciano ancora dalla Caritas, parlando, come già avvenuto da parte della Consulta nazionale antiusura, di «un rimedio peggiore del male». Gli esercizi “di tipo A” infatti potranno offrire azzardo anche accanto a luoghi sensibili e ultrasensibili: scuole, ospedali, uffici postali, oratori, centri giovanili, giardini pubblici con attrezzature di gioco per bambini, e così via . «E i Comuni non potranno più ostacolare tale deriva, al di là dei danni che venissero arrecati alle comunità locali».

Smontato il castello dell’evocato «accesso selettivo all’ingresso della sala», Caritas Roma evidenzia che «con 18mila locali siffatti e con gli altri che offrono le restanti e numerose tipologie di gioco (scommesse, altri apparecchi da puntata di azzardo, gratta e vinci, 10 e lotto, superenalotto ecc. ecc.) l’offerta di gioco d’azzardo continuerà a gettare la sua rete capillarmente, con invariata aggressività, sfuggendo in larga parte ai controlli». Come se non bastasse, evidenziano, «i Comuni non potranno intervenire neppure dinnanzi a gravi effetti sulla salute, sulla socialità, sulle fasce deboli della popolazione».

8 febbraio 2017