Autismo: gli educatori del nido iniziano a studiarlo, per riconoscerlo in tempo

Al via il corso di formazione a Roma per 300 persone. Obiettivo: imparare a cogliere i primi “campanelli d’allarme” entro i 3 anni. Nicoletti: «Lo strumento c’è, si chiama M-Chat. Diventi obbligatorio, entro i 18 mesi»

Studieranno per imparare a riconoscere i segni nell’autismo nei loro piccoli alunni, consentendo così diagnosi precoce e sostegno adeguato ai bambini e alle loro famiglie: 300 educatori di asili nido romani tornano oggi, martedì 25 novembre, dietro i banchi, per apprendere strumenti utili a individuare nei bambini da zero e tre anni i primi segni di un disturbo che, nella maggior parte dei casi, viene riconosciuto più tardi. La formazione sarà seguita da neuropsichiatri del Bambino Gesù con specifica competenza sullo spettro autistico, da pediatri dell’associazione culturale Pediatrica e da personale dell’Istituto Superiore di Sanità. Il primo appuntamento all’Auditorium San Paolo, con la proiezione del film di Selene Colombo “Ocho pasos adelante”, e l’intervento del Network italiano per la diagnosi precoce. Il tema: i “campanelli d’allarme” nei bambini da 0 a 3 anni.

A comunicare la notizia del primo incontro si formazione, a cui seguiranno, nell’ arco di un anno, quattro workshop e una plenaria conclusiva, è Gianluca Nicoletti, giornalista e papà di un ragazzo autistico, Tommy, sul suo blog Miofiglioautistico. E lo fa con soddisfazione, perché «non è banale, si tratta di un primo importante passo avanti verso una vera cultura sull’autismo, un movimento di opinione che permetta l’ uscita del nostro Paese dalla fase “sciamanica” rispetto a una sindrome così diffusa e socialmente devastante». Una vittoria, quindi, che Nicoletti sente anche un po’ sua, ma soprattutto della sua “comunità virtuale”, Insettopia, di cui fanno parte due delle più battagliere sostenitrici della necessità di formare in questo senso gli insegnanti della prima infanzia: le “sorelle Colombo”, autrici del film “Ocho pasos adelante”. Grazie a loro, in Argentina la diagnosi precoce dell’autismo è ora prevista e sostenuta dalla legge; e anche in Italia qualche passo avanti si sta compiendo, visto che, riferisce Nicoletti, «l’emendamento sulla diagnosi precoce è tra i pochi passati alla commissione in Senato che sta lavorando alla legge sull’ autismo».

Ma perché la diagnosi precoce dell’autismo è così importante? E quali sono gli strumenti per renderla possibile? A spiegarlo, è lo stesso Nicoletti, partendo dalla propria esperienza personale. «L’autismo va diagnosticato il prima possibile – afferma -, per permettere un intervento più efficace che consentirebbe ai ragazzi di avere un’ autonomia maggiore e, di conseguenza, un minore impatto sociale in futuro». Per quanto riguarda Tommy, «se qualcuno l’ avesse fatto a mio figlio, oggi lui parlerebbe e sarebbe molto più autonomo. A me il pediatra di famiglia non ha mai detto nulla e la prima diagnosi di autismo l’ ho avuta che aveva quasi quattro anni». Ma cosa avrebbe dovuto fare il pediatra, per riconoscere in tempo l’autismo di Tommy? Uno strumento esiste, è molto semplice da utilizzare e, per molti, tra cui le sorelle Colombo, dovrebbe esserne obbligatoria la somministrazione entro i 18 mesi: si chiama M-CHAT, consiste in una ventina di domande, a cui i genitori devono rispondere. «In base alle loro risposte – spiega Nicoletti – si può capire se il bambino deve essere visto da un neuropsichiatra perché potrebbe essere autistico».

Eppure, uno strumento così utile e poco “invasivo” fatica ad affermarsi e diffondersi. «Chissà perché le famiglie non scendono in strada per pretendere questo test – si chiede Nicoletti -. Chissà perché molti che qui mi leggeranno storceranno il naso e avranno da ridire. Chissà perché tutti preferiscono cercare le cause occulte, farsi grandi elucubrazioni mentali sull’ approccio terapeutico, sulle diete, sui vaccini, sui nostri piccoli angeli, sul sacrificio dei genitori, su tutto questo cascame di martirologi e visioni sciamaniche sull’autismo che ci condanna ad essere un Paese ignorante e arretrato nell’ affrontare questo problema. Non voglio pensare che la risposta sia: perché i pediatri di famiglia vorrebbero 30 euro per fare il test e non ci sono i soldi…».

Intanto, da oggi, questo e altri strumenti diventeranno noti a trecento educatori romani, che potranno avere un occhio più attento e più pronto a captare i primi segni dell’autismo, per attivare fin da subito quella presa in carico che tanto può fare per ridurne l’impatto.

25 novembre 2014