Autismo, come cambia la vita. La diagnosi e l’ascolto

Una realtà che sconvolge le relazioni intrafamiliari. Fondamentale il supporto sociale per sollecitare la capacità di adattamento dei genitori

Dopo cambia la vita… Cambiano i pensieri, le aspettative, le categorie di riferimento. Cambiano i giudizi e i pregiudizi. Sembra cambiare la realtà stessa… «Mi alzo dalla sedia… barcollo come se avessi bevuto. Ho l’impressione che i muri mi vengano incontro e inciampo nel gradino del marciapiede… Ho i nervi logori come vestiti vecchi… mi sembra di attraversare un paese ignoto. È come se i negozi, i cartelli e le case fossero fatti per gente diversa da noi…». È quel che scrive Marti Leimbach nel suo libro Perché non parli (Ed. Tea, 2006) descrivendo le reazioni provate all’uscita dalla consulenza in cui riceve la diagnosi di autismo per il figlio.

Accogliere il dolore, anche quello inespresso, di genitori che vedono uno stravolgimento di un progetto di vita proiettato sul proprio figlio o figlia, richiede una grande dose di umiltà e autentica capacità di ascolto. Richiede una tensione costante verso una prospettiva di benessere all’interno di un nuovo equilibrio del nucleo familiare che riceve una simile diagnosi. Un equilibrio, tutto da costruire, che beneficia in modo sensibile del lavoro di un terapeuta che possa cogliere gli elementi depressivi e restituirli all’interno di uno spazio empatico, in modo da porre i presupposti di un adattamento alle reali potenzialità del bambino.

Passare attraverso una diagnosi di disturbo di sviluppo, ossia di un danno neurobiologico che si ripercuote su tutti gli aspetti della vita quotidiana, sconvolge globalmente le relazioni intrafamiliari, poiché si oscura repentinamente qualsiasi progetto che attiene alla cosiddetta “normalità” per trovarsi catapultati in ciò che non si vorrebbe capitasse “proprio a noi”.

Ci si trova dinanzi alla perdita del bambino sognato e atteso, che viene ridisegnato con i tratti di una disabilità che si proietta nel tempo. Spesso si cerca di resistere a livello subcosciente, attuando meccanismi di negazione che si traducono in richieste sulla diagnosi, come se non fosse stata comunicata, dubbi sulla validità dei test somministrati, argomentazioni giustificative nei confronti del bambino… “era stanco”, “non si fida degli estranei”, “è sempre stato con noi, non ha frequentato l’asilo e non è abituato agli altri”.

Ci si trova di fronte a un meccanismo di negazione con cui i genitori sovente affrontano inizialmente il lutto per la perdita del bambino su cui avevano già proiettato sogni e aspettative, prima che qualcuno emettesse una sentenza che scaraventa verso una dimensione del tutto diversa, che nulla avrebbe a che fare con il loro bambino.

In realtà, sono i genitori stessi che colgono i primi segni di atipia nel comportamento del figlio e sono in grado di descriverne le caratteristiche. Agli operatori sanitari spetta il compito di dare una collocazione corretta alla qualità e quantità dei sintomi rivelatori di una effettiva atipia delle competenze relazionali del bambino. Si innesca un confronto che tende a mettere alla prova la veridicità della diagnosi e che, se ben condotto, può segnare l’inizio di un percorso terapeutico efficace nella costruzione di una qualità della vita ottimale per il bambino e di riflesso per l’intero nucleo familiare.

Un papà e una mamma che sentono parlare di “disturbo dello spettro autistico”, o che ricevono una conferma ai loro dubbi rispetto agli elementi osservati fino a quel momento, hanno sicuramente bisogno di informazioni chiare e di indicazioni graduali, in modo da essere accompagnati verso un piano di intervento appropriato e rassicurante. Hanno bisogno di sentirsi coinvolti ed accolti. Hanno bisogno di trovare una sponda ai loro timori, ai loro dubbi, alle loro richieste sul piano della prognosi.

Un fattore di fondamentale importanza per sollecitare le risorse e la capacità di adattamento del nucleo familiare è rappresentato dal supporto sociale, ovverossia dal ricorso a tutte quelle relazioni d’aiuto a cui un individuo può attingere intorno al proprio ambiente di vita durante un periodo di particolare stress. È proprio tale supporto che può determinare un ridimensionamento sensibile del carico stressante percepito dai genitori, con riduzione dei sintomi della sfera depressiva e conseguente miglioramento dell’umore su un piano diacronico (Leavy, 1983; Khanna, Madhaven, Smith, Patrick, Tworek & Becker-Cottrill, 2011). Infatti, laddove è ridotta la percezione del supporto sociale, si verifica la mancata consapevolezza, da parte loro, delle risorse di cui dispongono nello specifico contesto ambientale e si acuisce lo stress complessivo della coppia genitoriale (Karst & Hecke, 2012).

Una coppia genitoriale che ritrovi nella quotidianità figure disponibili a dare un aiuto concreto di fronte alle difficoltà impreviste poste dal proprio bambino con autismo sente di non essere isolata e riesce a prendere coscienza più agevolmente delle proprie risorse nel reinvestire e ritrovare nuovi equilibri rispetto alle peculiari esigenze poste dalle condizioni del figlio disabile, in termini terapeutici ed educativi. È evidente che la presenza di un figlio con disturbo di sviluppo determini una particolare preoccupazione rispetto al suo futuro, in relazione all’imprevedibile evoluzione del disturbo stesso e a chi potrà occuparsi di lui nel tempo.

Gli interrogativi si susseguono, da quelli fondamentali come “Parlerà? Sarà possibile comunicare con lui? Sarà in grado di esprimere un emozione?” a quelli più avanzati relativi alla capacità di leggere e di scrivere, o ancora a quali saranno i limiti per la propria autonomia, se potrà avere un suo spazio dal punto di vista sociale, se sarà in grado di esprimere le proprie potenzialità… Ma le risposte spesso restano indefinite, il pensiero che qualcuno dovrà prendersi cura del proprio figlio o figlia per tutta la vita giunge ad occupare uno spazio centrale nel gioco delle relazioni che si tenta di intrecciare intorno al figlio stesso.

È qui che si gioca la scommessa di una società diversamente accogliente, capace di appropriarsi delle disabilità degli altri, di fargliene far parte, capace di pensare a spazi e strutture per tutti, a partire dai più fragili. Un supporto sociale che è in grado di abbattere le barriere del pregiudizio, e inizia dove svanisce il timore di far convivere i propri figli con la cosiddetta “anormalità”; che comincia dalla vita di tutti i giorni…

Un recente fatto di cronaca ci parla invece della disattenzione delle famiglie verso un piccolo con disturbo autistico che aveva organizzato la festicciola di compleanno nella propria scuola d’infanzia, con la partecipazione di un solo compagnetto. Il risalto dato alla notizia ha poi generato un “ripensamento” generale, e la replica ha visto la partecipazione di tutto il gruppo classe (!)… Il cambiamento avviene se fra gli adulti prevalgono gli atteggiamenti di apertura e di inclusione, spontaneamente insiti nel comportamento naturale di ciascun bambino (a cura di Roberto Rossi, neuropsichiatra infantile).

 

9 novembre 2018