Attraverso il mare verso la libertà
Un “mar rosso” che per i cristiani sarà, poi, il costato aperto di Gesù sulla Croce: ferita di sangue rorida d’acqua da cui esce la vita risorta. La nostra vita già innestata nella libertà della Grazia
La scena che si apre davanti ai nostri occhi è patrimonio della memoria biblica di tutto l’Occidente e non solo dei credenti. Una scena “mitica” nel senso che gli adolescenti danno, oggi, a questo aggettivo: grandiosa, emozionante, decisiva. Un’immagine colossale e prodigiosa, un’esperienza indimenticabile che ti cambia la vita. Sarebbe bello esserci in uno spazio tridimensionale e immedesimarsi nei protagonisti: una lunghissima teoria di fuggiaschi – seicentomila solo gli uomini adulti – guidati da un pastore di Madian, chiamato da un Dio che si nasconde in una nube. Occorre, però, avere un cuore coraggioso e un carattere intrepido per farlo, oppure essere così disperati che le gambe camminino prima del pensiero. Dietro i fuoriusciti la terra che batte al ritmo dei carri – seicento! – di un immenso esercito: «Gli Israeliti alzarono gli occhi e gli egiziani marciavano dietro di loro» (v.10). Il terrore li assale e si mettono a gridare contro il liberatore, Mosè: «Forse non c’erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel deserto?».
L’Esodo risuona della sua anima unica e stupenda: un popolo che ardisce alla libertà e che esperisce tutti gli effetti collaterali di tale impresa: la paura, il pentimento, la miseria, la debolezza. Lo dice magnificamente Dostojeskij nei “Fratelli Karamazov”: nulla l’umano desidera più della libertà ma nulla, allo stesso tempo, esso teme! La colonna della nube di Dio – frapposta tra Faraone e Israele – getta ombra e tenebra sull’esercito degli inseguitori, e luce, invece, sul popolo che scappa. «Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’Oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto (…) gli Egiziani li inseguirono e tutti i cavalli del Faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare» (vv.21–23). Al mattino il Signore «gettò uno sguardo» dalla colonna di «fuoco e di nube» sugli Egiziani e li mandò in rotta. Mosè stese di nuovo la mano sul mare e le acque travolsero gli inseguitori.
È il racconto di un atto di creazione: c’è l’acqua, il vento, il fuoco e la terra (l’“asciutto”). È come se, dopo il passaggio del mare, Israele sia divenuto una nuova umanità, riscattata dall’ingiustizia, dalla violenza, dalla prepotenza dei dominatori. Israele nasce libera e nessuno più potrà renderla schiava! Vivere vuol dire, da oggi in poi, per tutti i popoli del mondo, essere liberi, camminare e lottare per un Paese dove «scorre latte e miele» perché fatto di fraternità, di giustizia e di felicità. Questa terra promessa nasce dal dono di Dio che riapre ogni volta la possibilità della vita per chi crede in Lui e per chi cammina con Lui. Grande è la notte del passaggio del mare, simile a quando un bambino attraversa le “acque” del grembo materno per venire alla luce. Un “mar rosso” che per i cristiani sarà, poi, il costato aperto di Gesù sulla Croce: ferita di sangue rorida d’acqua da cui esce la vita risorta. La nostra vita già innestata nella libertà della Grazia.
2 marzo 2020