Attacco terrorista in Costa d’Avorio, in cento rifugiati nella cattedrale

La testimonianza del parroco, raccolta dall’agenzia Fides: «Lo scontro era molto vicino a noi. Tutti quelli accolti nel presbiterio si sono gettati a terra»

La testimonianza del parroco Armand Zanou, raccolta dall’Agenzia Fides: «Lo scontro era molto vicino a noi. Tutti quelli accolti nel presbiterio si sono gettati a terra»
È intitolata al Sacro Cuore di Gesù la cattedrale di Gran Bassam, in Costa d’Avorio, prioprio vicino a quelle spiagge attaccate domenica 13 marzo da un gruppi di terroristi. Il bersaglio dell’attacco, rivendicato poi da Al Qaeda: i resort turistici nel Maghreb islamico. Il bilancio: 16 vittime, tra cui 14 civili. «Il Sacro Cuore di Gesù ci ha protetto, noi e il centinaio di persone che si sono rifugiate presso la nostra chiesa», commenta il parroco della cattedrale, padre Armand Zanou, ricostruendo all’Agenzia Fides la dinamica dei fatti visti dal punto di osservazione privilegiato che è questa chiesa accanto alle spiagge, la più antica della Costa d’Avorio.

«Avevamo iniziato una processione all’esterno, intorno a mezzogiorno – ricorda -. Verso le 13 abbiamo sentito i primi colpi di armi da fuoco e subito dopo abbiamo visto diverse persone scappare dalla parte della spiaggia e venire verso di noi. Abbiamo chiesto loro cosa stesse accedendo e ci hanno risposto che uomini armati stavano sparando sulla gente. Mentre il rumore della sparatoria si intensificava, aumentava il numero di chi cercava rifugio presso la cattedrale». I militari delle forze speciali, riferisce il parroco, sono arrivati dopo circa un’ora, portando con sé una cinquantina di ostaggi liberati dai resort attaccati. «Ci hanno protetto fino a quando la zona è stata dichiarata sicura, intorno alle 19.30».

Padre Zanou parla di uno scontro tra terroristi ed esercito durato circa 45 minuti, «forse un’ora»: un «violentissimo» scambio di colpi di arma da fuoco. «Tutte le persone rifugiatesi nel presbiterio della chiesa si sono gettate a terra, perché lo scontro era molto vicino a noi. Avevamo tre gruppi di persone rifugiatesi nel presbiterio: i parrocchiani che erano lì per le nostre attività e che sono rimasti bloccati dagli avvenimenti; la prima ondata di villeggianti che sono scappati dai terroristi e la seconda, costituita dagli ostaggi liberati dalle forze speciali che sono stati portati in chiesa. In totale circa un centinaio di persone tra ivoriani, francesi, belgi, libanesi e di altre nazionalità. Come si dice da noi, c’erano molti “bianchi”. C’erano pure diversi bambini».

Nella vicenda, anche la cattedrale ha riportato qualche danno. Quando i militari hanno portato gli ostaggi liberati di fronte alla porta della chiesa, infatti, hanno ricevuto l’ordine di fare entrare gli ostaggi messi in salvo. «Siccome la chiesa era chiusa, in quanto avevo deciso di utilizzare il presbiterio come rifugio – ricorda il parroco -, hanno iniziato a rompere le finestre per far entrare i civili. Allora sono arrivato di corsa per guidarli all’interno. Comunque i militari ci hanno protetto fino alla fine dell’emergenza».

15 marzo 2016