Armamenti italiani in Yemen: il 20 dicembre l’udienza decisiva

Sotto indagine funzionari dell’Autorità nazionale per l’export e dirigenti della Rwm Italia, per aver venduto alla coalizione a guida saudita le armi che hanno ucciso una famiglia

Era l’8 ottobre 2016 quando, nel villaggio di Deir Al-Hajari, in Yemen, un’intera famiglia – tra cui una madre incinta e 4 bambini – venne uccisa da armi italiane, vendute alla coalizione a guida saudita. Sui fatti, è in corso un’indagine presso la procura di Roma, sulle responsabilità penali di alti funzionari dell’Autorità nazionale per l’esportazione di armamenti – che dipende dal ministero Affari esteri – e dei dirigenti dell’azienda Rwm Italia, che avrà il 20 dicembre un’udienza decisiva, dal Gip di Roma, che potrà stabilire un processo, ulteriori indagini o una definitiva archiviazione.

La richiesta di indagine è stata presentata nell’aprile 2018 dalla Rete italiana pace e disarmo, dal Centro europeo per i diritti costituzionali (Ecchr) e dall’organizzazione yemenita Mwatan for Human rights, in contatto con i familiari delle vittime, che reclamano giustizia. Sul luogo dell’attacco è stato infatti ritrovato un frammento della bomba appartenente all’industria Rwm. «Ci sono le prove che non è stato un tragico errore ma un deliberato attacco contro i civili, quindi un crime di guerra», ha affermato ieri, 29 novembre, in conferenza stampa Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete italiana pace e disarmo, che riunisce decine di organizzazioni cattoliche e laiche impegnate su questi temi. «È la prima volta che abbiamo l’opportunità di andare a processo in Italia per una questione che riguarda l’export di armi – ha aggiunto – e verificare le responsabilità della morte di adulti e bambini, in violazione delle norme nazionali e internazionali che vietano le esportazioni di armi verso Paesi in guerra». Il conflitto tra la coalizione guidata dall’Arabia Saudita e i ribelli Houthi infatti è iniziato nel 2015 e ha causato finora 300mila vittime, tra cui moltissimi civili. Nell’ambito del conflitto, sono stati documentati almeno 26 attacchi aerei contro i civili.

Anche l’avvocato Francesca Cancellaro ha evidenziato che quella di Roma «è la prima occasione vera per portare a processo una azienda di armi. In passato sono stati aperti molti procedimenti, tutti conclusi con l’archiviazione. Questo caso è speciale perché la ricerca sul campo ha dato la possibilità di agganciare le responsabilità agli esiti, ossia la famiglia uccisa nel 2016, e di verificare che le autorizzazioni date sono frutto di una violazione gravissima delle leggi nazionali e sovranazionali. Ci sono quindi elementi forti per andare a processo – ha rilevato -. Purtroppo il Pm non ha iscritto gli indagati per omicidio colposo ma per abuso d’ufficio. Questo ci permetterà di dare comunque una forma di giustizia alle famiglie».

Per lo European center for constitutional and human rights è intervenuta Laura Duarte Reyes: «Con questa azione legale vogliamo affrontare le responsabilità penale e l’impunità dell’industria delle armi – ha detto Laura Duarte Reyes -. Tra il 2015 e il 2019 grandi quantità di armi sono state esportate da aziende italiane in Arabia Saudita, nonostante le segnalazioni dell’Onu dei rischi di crimini di guerra». Sul tema, nel dicembre 2019, ha ricordato, «è stata presentata anche una comunicazione formale all’ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale per avviare indagini sulle responsabilità penali delle aziende di Italia, Germania, Spagna e Regno Unito sulla vendita di armi in Yemen». Ad appoggiare l’azione giudiziaria contro «la gestione scellerata di Stati e aziende che creano danni enormi e crimini di guerra», anche Amnesty International, presente all’incontro con la Campaign manager Ilaria Masinara. «Per noi è importante che non rimangano impuniti», le sue parole.

30 novembre 2022